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tedesca, ma nei saloni di alcuni Ministeri. Qui, in tanto, in questi giorni il quartetto eseguisce dei pezzi rumorosi, delle arie da fanfara, aggiungerei da fanfara di caccia («va fuori d’Italia, va fuori italiano... ») ma a Roma saprà adattare alle nostre orecchie i laceranti motivi dell’indipendenza tirolese.

Presentiamo ai lettori questi uomini, così come li abbiamo conosciuti. Cominciamo dal conte Toggenburg, il capo. Nobile tirolese, egli è stato luogotenente imperiale del Tirolo. Conciliante e benigno in tutte le questioni che non avevano interesse politico fu sempre un intransigente difensore della idea statale. Era intimo di Stürgk, il maestro della «maniera forte»; l’uomo che sapeva trarre dagli strumenti a corda (e sapone) effetti straordinari. Nessuno come lui riduceva al silenzio le voci delle nazionalità che non avevano una parte scritta nella partitura. In quella sera tragica di ottobre del 1916 in cui Stürgk fu abbattuto da Franz Adler con due colpi di rivoltella ad un tavolo di restaurant viennese, il ministro dell’Interno assassinato aveva un commensale, davanti al quale si rovesciò rantolando. Questo commensale era Toggenburg. Due anni dopo Toggenburg saliva al posto dell’amico morto, e non lesinò le misure di rigore reclamate dalla «ragione di Stato» che comportavano una recrudescenza contro l’elemento italiano. Gl’internamenti hanno infierito sotto di lui.