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250 lettere dal mare


minuiti, ma di tanto decrescono le inermi vittime del siluro e del cannone, di tanto sembra che aumentino quelle delle mine. Tutto induce a supporre che i massacratori del mare stiano per cambiare sistema.

Troppe responsabilità, troppe note di Wilson, troppo orrore nel mondo. La mina non ha nazionalità. Quando è esplosa si può negare d’averla messa. I neutri hanno così la bocca chiusa. E poi l’aggressione offre qualche pericolo. La buona nave mercantile non vuol sempre lasciarsi ammazzare senza difendersi, alle volte si ribella, s’inferocisce, sperona, o apre il fuoco con un cannoncino impreveduto. È meglio tenersi lontani dai battelli, anche inermi, andare quatti quatti a tentare con prudenza la carneficina anonima. Non è difficile che dei sottomarini come quello che abbiamo distrutto si stiano moltiplicando. Bene, che vengano.


La vedetta sulla coffa del dragamine grida qualche cosa.

Dei fischi trillano dal ponte di comando. Tre uomini si inerpicano sul castelletto di prua, al cannone. Il pezzo è caricato, abbassa la bocca, cerca. Laggiù.... quella striscia chiara.... una scia... Un’ombra passa, la striscia svanisce. Doveva essere soltanto una di quelle plaghe lucide di calma che si formano per pochi istanti fra due ondate. Chi sa?