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30 capitolo ii.


tamento d’una cassetta da imballaggio. Sui montatoi vennero fissate delle scatole con gli attrezzi. Ai parafanghi furono assicurati i picconi e le pale. Solide funi, grosse e sottili, trovarono un adatto collocamento nella cassetta-sedile, sulla quale venne disteso e legato un materasso da marinaio per renderla più adatta al suo nuovo ufficio. E l’automobile apparve trasformata. Strana, semplice, snella, dava veramente l’idea dell’impeto e della risoluzione. Era scomparsa in essa ogni traccia di lusso, di comodità, aveva perduto l’ultima apparenza d’una cosa creata per divertire; sembrava nata per offendere; ideata per essere lanciata contro qualche nemico con tutto l’impeto della sua cieca potenza. Così spogliata del superfluo, aveva una nuova bellezza: la bellezza della nudità. Anche quei picconi, quelle pale, quelle corde, le conferivano un non so che di audace. Era veramente una macchina pioniera. Si comprendeva che essa stava per andare dove nessun’altra era mai andata. Noi l’ammiravamo di più, senza saperne bene il perchè, e ci ripetevamo: Com’è bella!

Fu deciso che i coolies e i muli ci avrebbero aspettato nelle vicinanze di Nan-kow. Per le automobili francesi e per la Spyker si era organizzato un eguale trasporto. A sorvegliare il lavoro dei cinesi la Legazione di Francia mandava un drappello di soldati pratici del paese. La nostra Legazione mandava cinque marinai. Il comandante la guarnigione italiana di Pechino donò all’Itala la bandiera, una piccola bandiera di lana da pavese che venne subito innastata sull’automobile. E fu la nostra bandiera di combattimento.

Se in Cina v’erano ancora degl’increduli, più ancora ve ne dovevano essere in Europa. Ne avevo un indizio dai telegrammi che ricevevo, i quali mi parlavano del “caso probabile che la corsa non avesse più luogo„. Rispondevo descrivendo brevemente i preparativi, e il telegrafo mi riportava fedelmente l’eco d’uno scetticismo inalterato. Io ne ero preoccupato; temevo veramente che in Europa ne sapessero più di me. Correvo dal Principe.

— Che c’è di nuovo? — gli chiedevo.