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avvicinando la mèta 491


Alle cinque siamo a Herford, un luogo di cura ricco di acque minerali. Un reporter balza sull’automobile e intervista Borghese a volo. Da un albergo escono gli ospiti e applaudono al Principe. Da ogni parte si vedono malati sdraiati in carrozzelle: uno di essi si solleva penosamente e grida “evviva„. Tutti gl’infelici che gli sono vicini, presi da entusiasmo, ci salutano, agitandosi nei loro veicoli di dolore. Sorridiamo, ma questo saluto della sofferenza e della debolezza alla salute ed alla forza che trionfano, ci lascia qualche tempo silenziosi.

Giungiamo alle sette a Bielefeld, e ci fermiamo per la notte.

Il nostro primo pensiero è di fare un semplice calcolo aritmetico. Spieghiamo le carte fra città e città, e procediamo ad una somma il cui risultato ci fa mandare un’esclamazione di gioia. Il totale è questo: 680.

Siamo a 680 chilometri da Parigi.


Il giorno dopo, 8 Agosto, attraversiamo la frontiera belga a Eupen, alle ore sei di sera, e giungiamo a Liegi di notte. In un giorno passiamo così dalla Vestfalia al Reno, dal Reno al Belgio, con tale rapidità che ogni cosa, da un’ora all’altra, cambia intorno a noi, e la giornata ci sembra lunga come una vita. Le impressioni si sovrappongono nella nostra mente, ricacciandosi l’una con l’altra indietro nella memoria, respingendosi. Gli avvenimenti del mattino ci sembrano alla sera un vago ricordo.

Forse questa sensazione la dobbiamo ad un’agitazione che è in noi, all’ansia vaga e inconfessata che c’invade per la vicinanza della mèta, per l’attesa della realizzazione d’un sogno di lunghi mesi. Tutto il nostro spirito si protende in avanti con una specie di angoscia. Ogni velocità sembra piccola al nostro desiderio; e noi non viviamo tanto il presente quanto il futuro: per questo il passato svanisce. Avviene dei nostri pensieri quello che avviene delle immagini che vediamo correndo: si mostrano appena e si nascondono in una nube di polvere, dietro a noi.

A Bielefeld, inutile dirlo, venne offerto a Borghese un ban-