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dal kama al volga 425


tardava a venire, ma veniva. Un’ora dopo che eravamo partiti, tramontava il sole. Dicevamo: “Al prossimo villaggio ci fermeremo„ — ma era in noi troppo vivo il desiderio di rifarci del tempo perduto, e al “prossimo villaggio„ passavamo senza nemmeno fermarci. Nei luoghi abitati la folla della domenica, aggruppata avanti alle case, ora ci faceva delle accoglienze festose gettandoci grida di saluto, ed ora ci guardava con sorpresa diffidente e ostile. Trovammo la spiegazione di questa diversità: il telegrafo. La riva destra sul Volga di fronte a Kazan. I paesi che avevano il telegrafo erano amici; avevano saputo di noi, in qualche posto ci aspettavano anche. Da ufficio a ufficio i telegrafisti si trasmettevano la notizia del nostro passaggio, e la notizia usciva per le vie, circolava da bocca a bocca. Non mancavamo mai di vedere gl’impiegati telegrafici alla finestra; erano i primi a salutarci.

Il sole era tramontato da un pezzo. Alle nove il crepuscolo agonizzava. Giungemmo in un villaggio, e decidemmo di fermarci definitivamente per la notte. Molte isbe erano già chiuse, le so-