Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
PARTE PRIMA
1.
Uomini di Lettere non istimati da’ Grandi;
ma non perciò meno felici.
Disavventura, per non dire, come altri, destino dell’infelice Virtù, provato e pianto in ogni tempo, è, che ella non truovi in questo gran Teatro del Mondo luogo pari al suo merito, e nicchia degna della sua statua. Già tramontarono que’ Secoli d’oro, quando le corone reali si mettevano all’incanto, e si pesavano le teste di chi vi pretendeva: quando le fasce de’ diademi reali servivano non a legare, come in molti avvenne, il cervello de’ pazzi, ma ad onorare il merito e coronare il senno de’ Savj. Le mura, le fondamenta, le vestigie di quel famoso tempio dell’Onore, in cui s’entrava solo per la porta del Merito, sono oggi sì distrutte e sepolte, che non n’è rimaso nè la memoria dov’egli fosse, nè la speranza di rivederlo risorto dallo scempio delle presenti rovine alla gloria delle passate grandezze. Perciò, quantunque ora fatichi la Virtù per salire, ella non cresce per miracolo un palmo: a guisa di certe Stelle vicine al Polo antartico, che sono oramai sessanta secoli, che dì e notte s’aggirano; ma con sì poco pro della loro fatica, che non sono mai giunte a montare sul nostro Orizzonte, e farsi nè pur’una volta vedere. Le montagne, che sono gravide d’oro, non sogliono avere nè boschi per delizie, nè erba per pascolo. Altro di lor non si vede, che magra cenere e sterile rena, fuor di cui mostrano scoperte l’ossa de’ grandi lor sassi, e hanno una certa vergognosa nudità; onde fra gli altri monti vestiti d’alberi e d’erbe, appena compajono senza