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26 | dell’uomo di lettere |
interne ricchezze, di che essi sono affatto mendici, e ne veggono sì dovizioso quel povero. Ullane autem tam ingentium opum, tam magnæ potentiæ voluptas, quam spectare homines veteres, et senes, et totius orbis gratia subnixos, in summa omnium rerum abundantia confitentes, id quod optimum sit, se non habere1? Or sieno i Ricchi alberi con una gran selva di rami sparsi in ogni parte belli e fronzuti: un Povero letterato è un tronco sfrondato e ignudo. Ma che?
Qualis frugifero quercus sublimis in agro
Exuvias veteres populi, sacrataque gestans
Dona ducum, nec jam validis radicibus hærens,
Pondere fixa suo est, nudosque per aera ramos
Effundens, trunco, non frondibus efficit umbram.
Sed quamvis primo nutet casura sub Euro,
Tot eircum silvæ firmo se robore tollant;
SOLA TAMEN COLITUR2.
4.
Il Savio in bando.
Quegli antichi Savj, maestri di Sapienza, che vivi la Grecia, morti hanno avuto il Mondo per uditore, ci lasciarono per infallibile aforismo: Acciochè la mente impari a filosofar senza errore, esser di bisogno che il piè vada per varie terre errando. Potersi giungere alle ricchezze della Sapienza, ma non altrimenti che se si vada da molti Savj per molti luoghi accattandola da mendico. La Verità (dicevano), nata in cielo, è pellegrina in terra; nè si truova altrimenti, che pellegrinando. Chi la cerca, fa come i fiumi, che tanto crescono, quanto caminano; sì che quelli, che alle lor fonti erano appena piccoli rivi, nel dilungarsi che fanno, divengono poco meno che mari. I vapori della terra prenderebbono essi mai forma di stelle, se, lasciata la patria dove erano fango, non corressero