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Il signor Demetrio non n’era ben certo. In verità, fossero più, o fossero meno, poco importava, trattandosi di ritrovare il denaro di quarantotto ore prima. Nondimeno, il signor Demetrio aperse il cassetto dove si custodivano le cartelle di rendita e le azioni della Banca Nazionale. Là dentro ci dovevano essere le ultime cartelle acquistate per seicento lire di rendita. Ma dove mai si erano ficcate? Appunto quelle, le ultime, non c’era verso di ritrovarle. E le penultime, per trecento lire di rendita? Neanche quelle, per tutti i diavoli, neanche quelle. In cassa, a farla breve, non si ritrovavano che cartelle di rendita nominative.
Per una costumanza introdotta da Virginio Lorini fin dai primi tempi che questi aveva assunto il segretariato di casa Bertòla, i profitti andavano prontamente investiti in rendita al portatore; ma appena le cartelle acquistate avevano raggiunto un certo numero rotondo, quello di mille lire di rendita, erano sempre convertite in cartelle nominative. «Non si sa mai» diceva Virginio Lorini; «e mi par meglio andare incontro ad una piccola noia per la conversione, e ad un’altra ugualmente piccola per la riscossione delle cedole, che aver la grossa di vigilar sempre un tesoro, alla guisa dei draghi della favola, per vederselo poi portar via da un troppo ardito cavaliere, armato di grimaldelli, di scalpelli, di trapani, e portante per asta un palo di ferro.»
Le precauzioni fanno sempre ridere, quando prevengono le cupidigie dei ladri; paion miracoli di antiveggenza, quando si riconosce che sono state utili a sventare i lor colpi audaci. A buon conto, era salva la rendita iscritta al nome di Demetrio Bertòla; si vedeva tutta quanta là dentro, in bell’ordine, nei ripostigli della cassa forte. Mancavano in quella vece le seicento, mancavano le trecento lire di rendita al portatore; novecento in tutto, che rappresentavano cinque mesi di guadagni netti del Bottegone. Ed erano state almeno acquistate, quelle novecento lire di rendita? Bene ai momenti opportuni, il conte At-