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più ignobili che avete fatti sul mio colloquio col signor Lorini, non sono tali da meritar compassione.

— Commenti!... — mormorò Maddalena. — Commenti, io? Me ne guardi il cielo. Signora contessa, per carità, non creda alle male lingue. Io non ho commentato niente. Posso aver riferito innocentemente un discorso....

— Ascoltato dalla toppa di un uscio; — interruppe la contessa; — ed è ignobile, torno a dirvelo, ignobile.

— Non è vero; — gridò Maddalena, che su quel punto, non essendoci testimoni, poteva spergiurare a sua posta. — Non è vero; ho sentito senza volere. Quell’uscio era aperto, e si poteva sentire di qui tutto quello che si diceva nel salottino. Ma di commenti, poi, non ne ho fatti; non è il mio costume; sono una ragazza onorata, non ne ho fatti; mi caschi la lingua, se ne ho fatti.

— Senti? — disse Fulvia a suo padre. — Ammette di aver riferito, e basta. Perchè aveva da riferire un mio colloquio col signor Lorini? Che cosa ci ha da entrar lei, in ciò che io posso dire o fare? perchè ne ha da parlare con mio marito, la bella signorina Pasquati? Quanto ai suoi commenti, glieli condono; speri d’esserne assolta ugualmente dal suo confessore. Dell’essersi occupata dei fatti miei, dell’aver riferiti i miei discorsi, mi lagno; — proseguì la contessa, rivolgendosi a Maddalena, che stava tutta mortificata in un angolo. — E vi prego perciò di ritornarvene a casa vostra, e di non rimetter più piede qua dentro. Ad aggiustare i vostri conti, e a farvi magari il ponte d’oro, penserà mio padre, che non ha mai guardato al denaro. Quanto a me, non vi voglio più veder qui. Andate, ed in fretta.

— Oh, è dura! — borbottò Maddalena.

— Dura! — ripetè la contessa. — Siete ingiusta, ed anche incontentabile. Vi avverto, per vostra norma, che se vi ostinerete a crederla tale, mi obbligherete a far peggio. Ho buono in mano,