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giorno in quella casa andava ogni cosa a traverso.
— Andate là! andate là! si lascia mangiare; — diceva il signor Demetrio, per consolare quell’amor proprio mortificato. — E del resto, pensate che non ho riacquistato tutto il mio appetito. Un po’ più cotto, il vostro stufato sarà anche più tenero per un convalescente come me. Sia dunque tutto per il meglio, e ringraziamo il Signore. —
All’ottimismo del signor Demetrio era ancora serbata una prova. Mentre erano a tavola, giungeva dalla stazione un altro telegramma per Virginio Lorini. Scriveva la contessa:
«Grande ansietà per sua notizia; mi metto in viaggio, arriverò domattina. Fulvia.»
— Che cos’è quest’altra novità? — gridò il signor Demetrio, poi ch’ebbe letto a sua volta.
— Le avevo scritto che eravate ammalato; — disse Virginio; — soggiungendo per altro che non si trattava di cosa grave. Ma ella si sarà turbata, e non avrà voluto vedere nella mia attenuante che una pietosa bugia.
— Ah, questa, poi, non me l’aspettavo; — borbottò il signor Demetrio, mezzo intenerito e mezzo stizzito. — Così doveva ritornare a Mercurano, la signora contessa?... Purchè non le venga in testa di portarmi il suo conte.... Giuro a Dio!...
— Calma, signor Demetrio! — disse Virginio. — Non vi guastate il sangue prima del tempo. Tutto considerato, — soggiunse poi, — scommetto la testa che quell’altro non c’è. —