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VIII.

Finalmente! il noioso periodo dei negoziati era chiuso. Il conte Attilio Spilamberti di San Cesario non aspettava altro, per ricomparire a Mercurano a far la sua prima visita di fidanzato in casa Bertòla. Non metteva alloggio nel castello degli Sferralancia, come aveva già fatto due mesi prima, ospite caro e gradito: faceva apparizioni di mezze giornate, essendo occupatissimo a Modena, per tanti apparecchi che i signori Bertòla potevano indovinare benissimo: quando poi si fermava più a lungo, nelle domeniche, scendeva all’albergo della Fenice, assai vicino alla casa dei grandi Italiani. Così la chiamava egli, con gentile eufemismo, che piaceva al signor Demetrio ed anche alla sua bella figliuola, lieta che il suo fidanzato, alla nobiltà dei natali ed alle grazie della persona, aggiungesse lo spirito ed il buon gusto. Sicuro, anche il buon gusto: infatti, dicendo «la casa dei grandi Italiani» si evitava di dire «il Bottegone» come era l’uso di Mercurano, uso brutto ed antipatico in sommo grado. Povero Bottegone, fondamento e principio di tutto, così cominciavano a trattarti; non si voleva neanche sentire il tuo nome!

Per altro, bisognava passarci, per andar su a riverirne i padroni. Virginio Lorini vide il signor conte apparir di lontano sulla piazza, e con un pretesto si ritirò dal salottino, dove il signor Demetrio stava leggiucchiando i dispacci commerciali del «Sole» di Milano. Sicuramente il signor Demetrio aspettava quella visita, poichè non si era accomodato sul canapè, ma sopra una sedia, accanto alla scrivania. E Virginio lo lasciò solo: e infilate le scale, non si fermò neanche al primo pianerottolo. Se ne andò nella sua cameretta al secondo piano, ci si chiuse dentro e ci rimase almeno un paio d’ore, fino a tanto non