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oggi così gagliardo come il dì che io partii alla volta di Russia per tentare la sorte, così disperato come il giorno che io, risanato a mala pena della ferita, mi avviai alla volta del Portogallo, donde più tardi avevo ad imbarcarmi per l’America. Ero ricco, già ve lo dissi; cercai di soffocare l’affanno nella operosità irrequieta. Audace come il giuocatore che raddoppia ad ogni trar di carte la posta, e vede, come per incanto, ammonticchiarsi l’oro davanti a sè, io guadagnavo senza desiderio, guadagnavo sempre, qualunque cosa tentassi. L’avete voi mai notato? L’uomo ottiene sempre tutto ciò che meno desidera. Pare che un mal genio presieda alle nostre pugne, e consapevole dei voti del cuore, pigli diletto a contrastarceli, e sia largo con noi di tutto quanto ci è inutile, o molesto, mentre ci nega inesorabilmente le gioie con più ardore agognate. -

Aloise crollò mestamente il capo. Egli vedeva in quelle parole sè stesso.

- Vincevo, - continuò, con accento d’amarezza, il duca di Feira, - superavo sempre, senza volerlo, senza pure averne coscienza, ogni ostacolo. Quante intraprese io tentassi, tutte mi volgevano a seconda. Pari al re Mida, qualunque cosa io toccassi, mi si mutava in oro tra le dita. Fui in breve ora straricco, e l’opulenza mi fruttò facilmente rinomanza e potere. Mi diedi alla guerra, nel cuore dell’India, ed ebbi trionfi, non da altro interrotti fuorchè dal proposito di non vincolarmi a donna veruna, foss’anco stata sul trono e me l’avesse profferto. Ma lasciamo di ciò; anch’io apparvi ingrato, anch’io crudele a mia volta. Tentai le arti della diplomazia, ed ogni mio detto fu scaltrezza, ogni mio atto vittoria. Resi servigi, che parvero di grande rilievo, a paesi che non m’erano nulla, e il mio titolo di nobiltà, vecchia ciarpa che dà sempre negli occhi, in una società la quale risente ancora del Medio Evo, può farvene testimonianza. Ben presto mi venne a noia la ragion degli Stati; mi diedi a correre per diporto da un capo all’altro della terra, ed ebbi fama di viaggiatore arditissimo. Passavo, passavo, veloce e splendido come il baleno, segno di invidia ad ogni maniera di volgo; e mentre le genti ammirate dicevano: «quegli è il duca di Feira, il più ricco signore del Brasile, il gran diplomatico, il nababbo indiano, l’uomo che poteva nella porpora squarciata di Aureng-Zeb tagliarsi ancor tanto da farne un manto reale» qui dentro, Aloise, era una solitudine paurosa, qui dentro l’anacoreta si struggeva in silenzio, qui dentro il povero Cosimo divorava le sue lagrime, qui dentro il leone