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era orbata di Ginevra, della sua unica luce.

La carrozza, che lo aspettava al portone della sua casa, era scoperta. Egli fece chiudere i mantici, poichè fortunatamente era un landò, e vi si rannicchiò dentro, tutto tremante di freddo, sebbene uno splendido sole riscaldasse l’aria come in un giorno di estate.

- Comanda altro, Eccellenza? - gli chiese il suo servo, che stava ossequiosamente ritto al predellino.

- No; rimango alcuni giorni in campagna. Bada alla casa, e se verrà il marchese Pietrasanta, obbedisci a lui come ad un altro me stesso. Avanti, cocchiere; ho premura. Il cocchiere stimolò i cavalli con uno scoppiettìo di lingua e con un altro di frusta, e la carrozza si mosse rapidamente sul selciato, non tuttavia quanto avrebbe voluto Aloise. Tanto era egli smanioso di finirla!



XXIX.

Nè vivere, nè morire

Aloise giunse alle falde del monte su cui torreggiava la Montalda, alle cinque dopo il meriggio; mezz’ora dopo, era lassù.

Il vecchio Antonio non parve punto meravigliato del suo arrivo. Egli stava ad aspettarlo sul portone della villa, in atto di godersi la frescura del tramonto, cogliendo al varco la gente del vicinato, per scambiar quattro chiacchiere, secondo la costumanza villereccia, prima di ritirarsi.

Ma se Antonio non parve meravigliato, bene guardò di sotto alle folte sopracciglia il suo giovine padrone, in quella che rispettosamente gli faceva di cappello e si sprofondava in inchini; e quelle sue guardate significavano una cura amorevole, una sollecitudine pietosa, che contraffacevano all’umile stato e alla apparente rozzezza del vecchio gastaldo. Per verità, l’Antonio era grandemente mutato, e coloro che lo avevano in pratica avrebbero potuto avvedersene senza fatica. Il taciturno e malinconico abitatore della Montalda era più sciolto di modi, più sereno nel volto; si sarebbe detto, a guardarlo, che ci aveva meno grinze di prima: a sentirlo respirare più liberamente e dir qualche parola più