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— Mi accorgo che vorreste aver me per capo della maggioranza.

— E mio collega al ministero! Che bella cosa si annunzierebbe alla nazione! Un ministero Rovereto Salvani.... Diamine! mi pare che rimangano molti portafogli senza titolare.

— O dove lasciate il Montalto, il Pietrasanta e l’Assereto?

— Avete ragione, perdinci! Saremmo cinque ministri, e i portafogli d’avanzo li terremmo noi stessi per interim. Sarebbe il ministero di San Nazaro, che varrebbe in fin dei conti come tanti e tant’altri. Ottima pensata! ho da sognarne, stanotte! Ma noi, — proseguì ridendo come un pazzo, il capitano, — stiamo qui a ciaramellare, come se avessimo tempo da buttar via. Statemi sano: io torno ai miei uomini.

— Addio, dunque, e ancora una volta, grazie!

— Zitto là; ne parleremo domani. Buona notte! E il Nelli, data una giratina sui tacchi, si allontanò speditamente, alla volta del suo drappello, che aveva avuto dieci o quindici minuti di riposo, in cambio di cinque.

Anche Lorenzo si mosse dal canto suo per andarsene. Ma dove? A casa non era prudente consiglio tornare; perciò gli parve acconcio di andare a chiedere ospitalità presso l’amico Assereto, dal quale avrebbe avuto novelle di casa sua.

Ma l’Assereto quella notte non aveva tenuto fede a’ suoi lari, e Lorenzo fu accolto amorevolmente dalla famiglia di lui, che lo introdusse in una linda cameretta, daccanto a quella dell’assente.

Rimasto solo, il giovine si lasciò andare bocconi sulla sponda del letto, colle ginocchia a terra, ringraziando il Nume ignoto che lo serbava in vita e in libertà.

Egli non pensava a se stesso in quel momento, lo sapete; pensava a Maria.


III.

Di una corte d’amore, la quale fu tenuta nel secolo decimonono

Messer Lodovico Ariosto, chiamato a buon dritto il divino, non se la cavò neppur egli dai tortuosi meandri del suo meraviglioso poema, se non coll’umile spediente di correre innanzi e indietro senza posa, e, servitore sgobbone di tutti i suoi personaggi (che non erano pochi, nè docili), pigliar que—