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Brutto, davvero, brutto di fuori; ma buono di dentro come i tartufi. Nè si argomenti dal paragone che mastro Pasquale ci avesse buon odore; che anzi egli sapeva maledettamente di colla e di segatura, e, come ciò non bastasse, ci metteva di costa il tabacco, ch’egli fiutava di sovente, e non del migliore; il che non vuol già dire ch’egli non fosse buon gustaio, e rifiutasse il buono quando gli era profferto. Il buono piace a tutti, soleva dir lui con un proverbio vernacolo che è certamente d’ogni paese.

Da parecchi giorni alla fila, mastro Pasquale andava al monastero di San Silvestro. C’erano colà parecchi vetri rotti da rimettere; inoltre (e questo era il grosso guaio) una finestra non chiudeva più a modo, nè gli arpioni tenevano. Così stando, cioè a dire, così non istando le cose, mastro Pasquale era stato chiamato al monastero, perchè vedesse e provvedesse lui. Ed egli aveva veduto e sentenziato che, non pure la finestra, ma la intelaiatura voleva essere rinnovata; fradicia questa, e fradice le imposte, non erano più buone ad altro che a far legna da ardere. E già, mentr’egli andava qua e là pei balconi del monastero rimettendo i vetri rotti, il mastro muratore aveva messa a posto la nuova intelaiatura, nè più rimaneva altro a fare che aggiustarvi le nuove imposte, opera accuratissima di mastro Pasquale.

Fin dal giorno innanzi le due imposte erano state portate là dentro; bisognava vedere se combaciavano colla intelaiatura, che non ci fosse nulla a piallare, nè sopra, nè sotto, nè ai lati; quindi dar loro due mani di colore, imperniarle sui gangheri, stuccare i vetri, e via dicendo. Per tutte queste bisogne andava mastro Pasquale, mezz’ora dopo il meriggio, e una conversa delle Clarisse gli apriva la porta di servizio non senza dargli ad intendere che egli giungeva troppo tardi, e troppo presto; troppo tardi, perchè era aspettato fin dal mattino; troppo presto, perchè era l’ora del refettorio, ed ella aveva dovuto scomodarsi a bella posta per lui.

— Ah, Madre, non mi dica altro! — esclamò il legnaiuolo. — Ci ho avuto più a fare stamane che chi muor di notte....

— O come?

— Vossignoria sa bene; mandar pel medico in fretta e in furia; non veder giungere il prete; il campanaro a letto colla chiave del campanile in tasca; o non le pare che ci sia un gran da fare a morir di notte? Or bene, io n’ho avuto altrettanto, colla mia Tecla ammalata.

— Oh, povera donna! Gravemente?