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mani alla fronte; ma nella confusione non badò a collocarlo sul cencio nel quale usava stropicciarlo, e la lastra rovente abbronzò una manica di camicia, che, fresca di salda, si mise a stridere compassionevolmente, a quell’atto di sbadataggine inaudita.

— Gesummaria! — borbottava intanto la donna. — Che cos’è egli andato a fare là entro? E collo scricchiolio delle suola per giunta!... —

In quel punto le vennero vedute sul pavimento le scarpe di Michele. Respirò un tratto; ricordò che le sue pantofole di cimosa non potevano far rumore, e infilò quell’uscio medesimo per dove era sparito Michele. E lo vide, passate due camere, il suo damo ribelle; egli era in fondo alla sala da pranzo, presso l’uscio che metteva allo studio del padrone, curvo sul fianco, l’orecchio alla toppa.

Michele a sua volta la vide colla coda dell’occhio, e colla mano le fe’ cenno di tornarsene alle sue faccende. E perchè ella non si muoveva, le mandò un bacio col sommo delle dita, quasi a dirle: ti voglio un gran bene, ma vattene!

Che fare con quel testereccio? La signora Marianna alzò gli occhi e le palme al cielo, e tornò ai suoi ferri, raccomandandosi a tutti i santi del calendario, che non avesse a nascerne un guaio de’ grossi.


XVI.

Di una finestra che fece aprire una porta

Non se ne dolgano i lettori; lasciamo Michele ad origliare il colloquio del padre Bonaventura col suo degno discepolo, Marianna a struggersi tra l’ansietà per quella imprudenza del suo damo e il rammarico della camicia abbronzata; e saltando una settimana, ce n’andiamo a San Silvestro, o per dire più propriamente, al monastero che si fregiava di questo gran nome, sull’altura di Castello, o Sarzano, come più talenta chiamarlo.

Sarzano e Castello, chi ben guardi, è tutt’uno. Sia che allegramente deriviate Sarzano da un pazzesco Arx Jani, o da un più ragionevole fundus Sergianus, in Sarzano, era la ròcca degli antichi Genoati, e intorno a lei, sulle