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a fare, una scorsa fuggevole al carteggio di Lilla, bastò. E il suo disegno fu pronto; condurre la marchesa, che era dama di misericordia, in casa Salvani, e trarne via la fanciulla.

Il colpo era audace; nella mente di un uffiziale della giustizia sarebbe stato agevole collegarlo con quell’altro dei falsi carabinieri. Ma Bonaventura era e sapeva d’essere onnipossente in certe anticamere, dove la legge è soverchiata dalla opportunità. Chi, degli offesi, avrebbe potuto farsi udire lassù? Chi, dei vendicatori, avrebbe voluto render giustizia, spontanea, a gente nemica dell’ordine? Da un pezzo è stato detto, le leggi esser come le ragnatele, che i moscerini vi restano impigliati, e i mosconi le sfondano.

Condotta da lui, indettata da lui, la dama di misericordia andò in quella notte in casa Salvani. Quel che avvenisse, s’indovina. Maria vide quella donna così austeramente bella, che, senza saperlo, senza formarsene un concetto nell’animo arrossiva dinanzi a lei; la guardò lungamente, mentr’ella le parlava con quell’accento soave e lievemente turbato; nel suo cuore fu un risvegliarsi confuso di sensi ignoti dapprima; sentì la voce del sangue, e spinta da una virtù inconsapevole, riparò sotto l’ala materna, senza pensare se ella avrebbe potuto, se pure avrebbe voluto proteggerla.

Il mattino vegnente, la fanciulla entrava di buon grado nel convento di San Silvestro, dove la superiora delle Clarisse l’accoglieva come una raccomandata della marchesa di Priamar, come una povera orfana, la quale sentisse nell’animo la vocazione di prendere il velo, sotto gli auspicii di santa Chiara. S’intende che una simigliante vocazione non era manifestata da Maria. La marchesa, tra mille soavi esortazioni, le aveva dimostrato il convento come un luogo di rifugio e di aspettazione. La povera fanciulla era affranta da tutto ciò che le era avvenuto il giorno innanzi, dai casi di quella notte, e dal non saper nulla di Lorenzo, dopo il tentativo della sera. Bonaventura aveva parlato, in sua presenza alla marchesa, di una mischia in piena regola, di morti e feriti, della presa e dell’abbandono di un fortino, di prigionieri fatti in gran numero, e la fanciulla aveva sentito un’acerba stretta al suo cuore, già travagliato da un’ansia febbrile. Che era egli mai avvenuto di Lorenzo, dell’unico suo protettore, dell’amico d’infanzia, dell’uomo a cui poche ore innanzi aveva detto il segreto dell’anima sua? Forse morto; forse in carcere, e condannato a tristissima fine! Sì davvero, il convento era un rifugio a tanta ad ineffabile angoscia.