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molto. Soltanto il Pietrasanta, co’ suoi sproloquii di capo scarico, e Lorenzo Salvani, co’ suoi modi schiettamente amorevoli, consolavano all’ammalato taluna di quelle lunghe ore che il tedio gli faceva centellare minuto per minuto.

Il Salvani gli era andato proprio a’ versi, tra perchè era stato suo avversario (la qual ragione parrà strana e non è) e perchè, così alla gagliarda prova dei fatti come nel tranquillo ricambio di affettuosi pensieri, ci aveva avuto agio di conoscerne i pregi. Egli pensava spesso a quel baldo giovinotto, e quasi non sapeva capacitarsi che fosse nato senza titoli di nobiltà.

Perchè, bisogna confessare un difetto di Aloise, e i lettori non gliene facciano gran carico, essendo l’unico che avesse, e mal digesto avanzo di educazione aristocratica, anzi che matura convinzione dell’intelletto. Egli credeva ancora che i titoli natali dessero ogni maniera di virtù, come quei tali sacramenti che imprimono carattere ai buoni cattolici.

Qual è l’uomo tra noi, il quale non abbia una o due di queste fisime in capo, mai discusse a mente tranquilla e sempre citate a guisa di assiomi! E non è a dire che manchi lo ingegno per discernere l’errore; ma gli è che certe cose, succhiate, stiamo per dire, col latte, rimangono nel cervello, come fondo di bottega, e l’occhio, avvezzo a vederle, non si ferma a discuterne il pregio.

Ora nessuno può fare ad Aloise il torto di credere che egli, con quello ingegno che aveva, se si fosse posto a meditare un tratto su quel dirizzone, non avrebbe durato fatica a scorgere le corna del pregiudizio. Per giungere a ciò sarebbe bastato il guardarsi d’attorno, nella gente del suo ceto, e considerare se tutti i suoi pari avevano quella scienza infusa, o quella innata nobiltà di sentire che gli pareva privilegio del nome patrizio.

Ma in fin dei conti, come si sarebbe potuto ragionevolmente domandare che Aloise facesse queste considerazioni, se lo storto concetto dell’universale non fa che aiutare a questa illusione? A Genova, come in molti luoghi, si fa di cappello ai milioni, anche quando non abbiano altre virtù che li rincalzino; ma a Genova, più che altrove, si fa di cappello al titolo di marchese, e a tutti i privilegi della nascita, non badando se siano posti su d’un uomo da nulla, come il mantello o la giubba sulle smilze grucce d’un attaccapanni.

Maniere di adorazione storte ambedue; laonde si può dire che se in altri luoghi il concetto della rivoluzione è stato volto