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lettera, volle mandarla affrancata. «È l’ultima spina della mia Corona; - disse a Maria, - non ci pensiamo più!»

E non ci pensò più, davvero. La Corona di spine, entrando nel repertorio del Bonaldi, usciva per sempre dall’animo dell’autore. L’ultima tavola di salvezza.... diciamo male, il suo gorgo vorace, l’onorevole uscita (come egli stesso usava chiamarla) gli si apriva tuttavia dinanzi allo sguardo. Nemico del suicidio immediato, violento, che un uomo si procaccia colle sue mani in un momento di delirio, egli ne vedeva, ne vagheggiava un altro, che gli appariva certo del pari, ma che non avrebbe offerto ad alcuno argomento di biasimo e di scherno. Era questo il tentativo di rivoluzione che si maturava in Genova; tentativo che egli non aveva caldeggiato mai, ma al quale aveva promesso l’opera sua, in rispondenza alla sua fede politica, e che ora egli affrettava coi voti, come quello che gli avrebbe dato il modo di farla finita, presto e bene, col tedio dell’esistenza. Egli insomma s’industriava a disfarsi, a buttarsi via, come tanti altri a campare, a procacciarsi uno stato.

Così pensava Lorenzo, e sotto questo aspetto considerava i prossimi eventi. Egli non s’era mai pasciuta la mente di vane speranze, e reputava certissima la sconfitta. Era stato soldato, e ben sapeva quante cose ci vogliono a fare un soldato; era italiano, e non ignorava come difetti nelle moltitudini italiane la tenace concordia dei propositi, l’obbedienza al comando di un solo; era avvezzo alla vita pubblica, e gli erano note le difficoltà d’ogni maniera che avrebbero, anco nel caso più felice d’una vittoria parziale, mandato a male un rivolgimento, il cui trionfo dipendeva dalla simultaneità dello scoppio in parecchie regioni della penisola. Questo ed altro sapeva; nè, sulle prime, lo aveva taciuto. Ma altri consigli avevano vinto; il concetto era generoso, e Lorenzo Salvani, pronto alle opere com’era dubitoso ai consigli, aveva chiesto per sè una delle parti più rilevanti. Morremo, pensava egli, morremo; che importa? Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor....

E la mattina del 29 giugno era giunta. L’ora del gran tentativo, che già doveva essere per una parte iniziato in alto mare a bordo del Cagliari, sarebbe suonata in quella sera per Genova. Saldo nel suo proposito, Lorenzo Salvani guardava con occhio sereno l’imminente pericolo. Sotto le spoglie del suicida si era ridestato il veterano di Roma.

Che facesse egli quella mattina, può argomentarlo chiunque è stato al punto di doversi appigliare ad un grave partito che egli facesse