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fatto vivere i loro lettori, per una infilzata di capitoli, quattro o sei metri sotto la superficie del suolo. Oltre che noi non abbiamo tanto ingegno, nè tanta dovizia di partiti da tenerli a bada, va ricordato che le chiaviche di Genova non possono entrare in paragone coi monumenti sotterranei di Parigi; nè colle catacombe di Roma, nè colle immani cisterne di Bisanzio, nè colle vie dischiuse sotto l’Eufrate dagli antichi re di Babilonia. Genova, edificata a più riprese, secondo le crescenti necessità della sua popolazione, su d’un terreno malagevole, altro non riuscì che un lavoro di aggiunte e di rappezzamenti faticosi, così sopra come sotto, e privo, ahimè, di un concetto ordinatore. Laonde i grandi canali, invisibili seguaci delle grandi arterie cittadine, son pochi; tutti segnati in anticipazione dai letti de’ rigagnoli, che separano le une dalle altre le colline digradanti dell’anfiteatro di Genova. Altri canali minori a centinaia, pochissimi de’ quali son praticabili, inesplorati tutti, seguono i capricciosi meandri delle vie, viuzze e vicoletti della Superba, e ognun d’essi mette, giusta la sua pendenza, a taluno degli anzidetti canali maggiori.

Questi gran dignitarii della dea Mefite son cinque, i quali scendono, come dicemmo, a piano inclinato dalle alture; ma giunti al centro della città si stendono in linea orizzontale, e qui i topi medesimi, loro abitatori naturali, non ci vanno altrimenti che a guazzo. Se vi pigliasse il desiderio di visitarli, accettate il nostro consiglio di farvi portare in collo dai serventi addetti a que’ sotterranei lavori, ed anche d’indossar vestimenta le quali non abbiano più da servirvi sulla faccia della terra.

Il primo di tutti (non già per ordine gerarchico, ma per ordine topografico) ha origine dal fossato di Sant’Ugo, là dalle parti dell’Arsenale di terra, e correndo sotto la piazza dell’Acquaverde e la Commenda di San Giovanni di Prè, attraversa la via Carlo Alberto, per metter foce in mare nel seno di Santa Limbania, di quella santa che ha comune coll’ottimo San Torpete la cittadinanza genovese, e la vergogna di non trovare anima nata che voglia portare il suo nome. Qual è, nella città dei Baciccia e delle Marinin, la donna che si chiami Limbania, e l’uomo che si chiami Torpete? I due poveri santi non hanno divoti; ma in forma di compenso, e diremmo quasi di elemosina, San Torpete ebbe una chiesuola e Santa Limbania un seno; seno di mare, s’intende, sulla sponda occidentale del porto.

Il secondo canale nasce alle spalle dell’albergo dei Poveri in Carbonara,