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ch’Ella abbia lasciato la sua splendida festa per venirmi a visitare.

- Eh via, padre Bonaventura! Lasci la modestia in un angolo, come io ho lasciato le noie della mia festa sull’uscio. I miei convitati si dànno bel tempo, com’Ella ode di qui. Che farci? anche queste cose ci vogliono.

- Sì, certo, signor marchese. Gli uomini come Lei, che sono rari pur troppo, debbono serbare il decoro del loro illustre casato, e non disavvezzare la gente da quelle larghezze che tengono vivo il culto delle grandi memorie. Ella sa il proverbio francese: noblesse oblige. Il volgo poi ha bisogno di queste pompe esterne, in quella che gli uomini colti hanno in gran pregio il suo ingegno e la fortezza dell’animo.

- E che faceva Ella, mio ottimo padre? - chiese il Torre-Vivaldi, dopo essersi inchinato per ringraziarlo di quella incensata.

- Io? Me ne stavo là sul terrazzo ad ascoltare quella buona musica che si suona in casa sua, e non pensavo certamente ch’Ella fosse per venire quassù a rallegrare la mia solitudine.

- Gli amici come lei, padre Bonaventura, valgono assai più di tutte le feste del mondo, senza mettere in conto che queste non mi fanno nè caldo nè freddo. E che cosa abbiamo di nuovo?

- Nelle cose nostre nulla che Ella non sappia, signor marchese. Ah, mi dimenticavo.... Ho ricevuto lettere del visconte di Roche Huart, il quale m’incarica di salutarla tanto e poi tanto.

- Grazie, e che cosa fa quell’ottimo visconte?

- Non si è mosso da Parigi. Egli si lagna della gotta, che incomincia a dargli molestia.

- Pover’uomo! In così fresca età!... E da Torino non ha avuto notizie?

- Sì, ma di nessun rilievo. Ella saprà meglio di me che domani in Senato avrà fine la discussione sulla libertà dell’interesse.

- Dica in cambio della libertà dell’usura. A me è doluto grandemente che questa festa di consuetudine in casa mia mi vietasse di andare in Senato, dove avrei pur voluto correre una lancia contro quest’altra invenzione del mugnaio di Collegno. -

Il mugnaio di Collegno, come tutti rammentano, era il conte Camillo Cavour. A quel tempo l’audace ministro torinese