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Il marchese Antoniotto aveva inteso per bene che profittevole alleanza fosse per lui quella del padre Bonaventura. Era costui l’anima del partito; per domare tutte le ambizioni, per contentare tutte le vanità, per vincere tutte le riluttanze, per chetare tutte le diffidenze, non c’era spediente migliore di quello. Il gesuita sfratato, che curava in Genova le faccende della Compagnia, gli guarentiva l’aiuto di quel potente sodalizio; il gran capitano della reazione in Genova lavorava a pro’ della sua ambizione, proprio come un generale a pro’ di un re, o di un pretendente in esilio.

Ma se il padre Bonaventura rendeva di passata questo servizio al marchese Torre-Vivaldi, a ben più alto segno mirava l’opera sua. L’Antoniotto non era per lui che un ottimo strumento, un magnifico arnese di guerra, a cui molto volentieri concedeva la parte più bella del suo sistema. La frase costituzionale del re che regna e non governa, significava a puntino quello che il marchese Antoniotto doveva essere nei disegni del padre Bonaventura. Il quale teneva tutte le fila del governo in sua mano, nobili e ignobili, dorate e sozze. A quella mano facevano capo i tristi, i vanitosi, e gli stolti di tutte le classi sociali; usurai che volevano arricchire; ladri e furfanti che non volevano andare a marcire in prigione; avvocati senza clienti, medici senza ammalati, maestri senza discepoli, che volevano annaspare qualcosa; giovani che andavano a caccia di grasse doti e d’illustri parentadi; uomini da nulla che volevano parere d’assai; cervelli di gatto che s’industriavano a parer di leone; già s’intende, per averne la parte proverbiale nella spartizione delle prede.

Broglioni d’ogni fatta e d’ogni misura, lombrichi viventi nel limo, scorpioni allogati nelle sfaldature dei vecchi palazzi, Archimedi del malanno a cui non mancava altro che il braccio di leva per muovere e inabissare la loro parte di mondo, tutti, qual più, qual meno, per un verso o per l’altro, avevano bisogno del padre Bonaventura. Gli uni celati, gli altri palesi, secondo quel tanto di oneste apparenze che avevano i loro raggiri, davano mano all’opera del gesuita, e il lettore già ne conosce parecchi, contando dall’umile Garasso fino all’eccelso Torre-Vivaldi.

Abbiamo lasciato quest’ultimo sull’uscio, la qual cosa non parrà segno di cortesia. Ma si chetino i lettori cerimoniosi; il padre Bonaventura gli ha fatto accoglienze convenevoli, e non ha aspettato noi per farlo entrare nel suo studio.

- Signor marchese, è davvero un sommo onore per me,