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viviamo. Solo che siate un uomo da poter essere presentato in un geniale ritrovo, vi è dato sovente di respirare per due o tre ore quell’aria che un povero amante pagherebbe con dieci anni di vita, e mettere una mano profana intorno alla vita di quella donna, e bere, stiamo per dire, il suo alito, in un giro di waltzer o di mazurka.

Non ci faremo più oltre a dipingervi la marchesa Ginevra, nè a dirvi partitamente delle sue bellezze. Vorremmo aggiungere che aveva un piedino bello come la mano; ma voi sareste tali da voler sapere di che tessuto fosse la calza, di che colore il legaccio, a noi da volervelo dire. Lascieremo dunque alla vostra mente immaginosa l’ufficio di finire la descrizione, e tanto più volentieri, in quanto che con tutte le nostre parole non ci è venuto fatto di darvi ad intendere con quali giuste proporzioni rispondessero l’una all’altra tutte le parti di quel corpo bellissimo.

E la mente? Oh, questa era bella del pari. La marchesa Ginevra aveva un ingegno vivissimo e colto sopra tutte le altre. Trattava con garbo la matita, e il cembalo con agile maestria. Parlava con una voce melodiosa quasi tutte le lingue d’Europa, l’italiana e la francese, la spagnuola, l’inglese e la tedesca, di guisa che poteva leggere nel loro testo, il Petrarca, il Byron, il Goethe, l’Hugo e Garcilasso de la Vega. Il dialetto genovese che tanti trovano aspro, bisognava sentire che musica fosse diventato sulle labbra coralline della marchesa Ginevra!

E il cuore? Ahimè! Al tempo del nostro racconto il cuore della marchesa non aveva anche dato segno di vita. Molti le stavano attorno, sospirando, dicendo le più tenere cose; ed ella li stava ad udire, ma senza rispondere mai in quella chiave. Però il Cigàla, il più ameno filosofo che mai calzasse guanti paglierini, la metteva nel novero di quelle belle meditabonde, le quali nelle soavi parole e nei rapimenti di un uomo che le ama, stanno libando l’arcana dolcezza delle parole che potrebbe dir loro un altro che amano esse.

Ma, anco ammettendo la massima del nostro povero amico Cigàla, che è andato a seppellire la sua filosofia sui campi gloriosi di Montebello, noi dobbiamo aggiustar fede alle nostre notizie particolari, giusta le quali la marchesa Ginevra non amava nessuno. Era, a dir vero, una donna della quale non si capiva un bel nulla. Vi agitava le tempeste nel cuore, e non le calmava; vi sorrideva leggiadramente e vi guardava a volte con certi occhi che parevano promettervi il paradiso; ma che? Ella non pensava punto a voi. Era in