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la prima volta che l’ira, contro il consueto aiutasse a indovinare la verità.

Egli era a quel punto delle sue considerazioni, quando l’uscio per cui era scomparsa Cecchina, si riaperse, e la cameriera si affacciò al salotto, dicendo:

- Entri pure, signor Salvani. La collera di Lorenzo svaporò a quell’invito, o per dir meglio sbollì; e il giovine non si ricordò più di que’ tristi pensieri che essa gli aveva destato nell’animo. Un solo concetto rimase, e fu l’amore; quell’amore che consiglia tante e poi tante corbellerie ai miseri mortali.

Lorenzo si gettò sulle orme della cameriera, ed entrò nelle camere della contessa, fino allo spogliatoio, dove la trovò ancora vestita in quel modo che i lettori sanno, ma seduta dinanzi allo specchio.


XXIII.

Nel quale si racconta come una gentildonna congedasse un innamorato che l’aveva seccata

Appena Lorenzo fu entrato, Cecchina si allontanò. La contessa avrebbe potuto tenerla presso di sè, col pretesto assai naturale della sua acconciatura, e cansare in tal modo il pericolo di una spiegazione a quattr’occhi. Ma, a quanto sembra, ella voleva finirla, e indovinando col suo accorgimento donnesco che quello sarebbe stato un dialogo critico, dal quale ella avrebbe potuto cavar profitto, aveva accennato ella stessa a Cecchina che uscisse.

Rimasero soli; ma per un tratto fu scena muta. Lorenzo era come inchiodato presso l’uscio, e sopraffatto da una commozione fortissima. Allora la contessa si volse, ed accennandogli con la mano un piccolo sofà che era daccanto a lei, incominciò ella stessa il discorso.

- Orbene?... Non debbono esser di molto rilievo le cose che avete a dirmi, se, giunto qui, non mi dite una parola.

- Matilde! - ruppe finalmente a dire Lorenzo, con accento di rimprovero. - Perchè mi parlate voi così? Sapete pure che ho da parlarvi, e se ho resistito al vostro desiderio