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grottesca; copiando dai re della moda non era mai vestito a modo. Il suo sarto s’era già parecchie volte sentito tenero di dirgli: per carità, la non confidi a nessuno che sono io che la vesto!

Ma adesso, dallo sfoggio degli abiti nessuno argomenti che il nostro Arturo fosse uno scialacquatore come tanti altri. Era anzi misurato in ogni cosa; non giuocava a nessun giuoco, e segnava sul taccuino le buone e le male spese, per tirar la somma alla fine del trimestre. Il trimestre era il concetto fondamentale della sua testa. Gli averi di mastro Nicola, suo rispettabile genitore, consistevano in otto o dieci case, le quali davano il frutto di un’ottantina di appartamenti; e lo davano, perbacco! I Ceretti, padre e figlio, non usavano concedere proroghe a’ loro pigionali, nè condonare il fitto alla povera gente. Il trimestre era il perno di una ruota che girava di continuo, e i denti dovevano incontrarsi nelle pigioni anticipate; se no, la mercè dei soliti congegni, saltava fuori la citazione dal giudice.

Ora, siccome mastro Nicola sapeva leggere poco, e scrivere anche meno, il nostro Arturo teneva i conti, faceva egli stesso le scritte meglio di un notaro, e non gli sapeva male; che anzi ci aveva gusto. La protuberanza dell’abbaco doveva essere molto rilevata nel suo cranio, e, posta accanto a quella dell’egoismo, doveva formargli una specie di Parnaso, montagna poetica, la quale, se ben ci ricorda, aveva due cime.

E il fonte Castalio? diranno i lettori. Se il Parnaso c’era, il fonte non doveva mancare. Il fonte era degnamente rappresentato da una vena amorosa che spicciava sempre, sebbene non iscaturisse dal cuore. Ma che volete? Sotto l’abbaco e l’egoismo, vette nevose del suo Parnaso, quell’amorosa fontana non poteva dare acque limpide e salutari. Potete dunque argomentar di leggieri che amorazzi fossero i suoi. Correva dietro ad ogni femmina in cui si abbattesse per via; Don Giovanni di razza bastarda, passava il tempo a caccia di dubbie virtù, di bellezze da tanto alla giornata.... e condonateci la parola, che potremmo dir peggio.

Bisognerà tuttavia esser giusti. Arturo Ceretti era dolente di non aver tra mani selvaggina migliore, e si struggeva dal desiderio di esser prescelto da qualche gran dama. Piantato sull’angolo di una strada, in un crocchio di amici, vedeva passare le più lodate per bellezza, e le più tartassate per tutto il rimanente; ma per lui non c’era un bel nulla; doveva restringersi a contar le fortune degli altri. Teneva il suo scanno