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Ma se a Genova c’erano i più gran rompicolli di tutta Italia, se qui era il centro più temuto e più sospettosamente vigilato della rivoluzione, c’erano anche i più ostinati fautori dell’antico ordine di cose, e forse la più operosa officina della reazione.

C’era anzi tutto il volgo ignorante degli uomini avvezzi a millantare le più arrisicate dottrine, in quella che lasciavano le loro famiglie pensare a operare in tutto altrimenti: spregiudicati a parole, liberi pensatori senza sapere che cosa pensare, audacissimi mangiatori di grasso in venerdì e sabato, ma fuori di casa, e destinati a diventare la gente più divota e insieme la più codina della cristianità, nella stagione dei malanni insanabili.

C’erano poi i ricchi patrizi, i quali, la più parte, astiavano il governo piemontese e ricordavano il patrio Consiglietto: e tra essi la gente più strettamente divota al Papa e all’Imperatore nella loro significanza da medio evo; epperò tale, per larghezza di censo ed autorità di nome, da doversi accarezzare e tenere in carreggiata, oggi blandendola cogli onori e la reverenza alla grandezza dei titoli, domani spaventandola col fantasma minaccioso delle plebi irruenti.

C’erano i titolati meno abbienti, anzi poveri addirittura; gente da sostentare in ogni modo migliore, la mercè di Opere pie acconciamente sfruttate, di antichi legati, di pubblici uffizi, e da scrivere intanto nelle file della tenebrosa legione, nella quale avevano a militare per vecchia tradizione e per nuovo debito di gratitudine.

C’erano i ricchi plebei, i villani rifatti da tirare, spinte o sponte, nel girone superiore, per la naturale attrattiva del vivere sfoggiato, per la cupidigia degli onori e di tutti gli altri amminicoli della superbia mondana.

C’erano i liberali sinceri da combattere, da traccheggiare, da molestare di continuo e in ogni ragione di cose, fossero poveri o ricchi, nobili o plebei, sicchè avessero a guastarsi il sangue, a perdere gli uni la costanza dei propositi, gli altri il loro buon nome nelle angustie della necessità.

C’erano sopra tutto i giovani da domare, i vigorosi intelletti da isterilire nel fiore della pubertà. Con quali armi? Anzitutto un ordinamento meraviglioso, ragnatela finissima, le cui cento fila mettevano capo in ogni ceto di persone, in ogni ragione di negozi. Il beneficato e l’ambizioso, mutati di subito in acconci stromenti di propagazione, erano tutti sfruttati secondo la misura delle forze loro, dell’ingegno, delle particolari attitudini e delle aderenze domestiche.