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lone, e che bisogna sempre trapassare con la palla, perchè il giuoco sia buono. Le racchette erano a posto sulle due estremità del campo; a posto sulla battuta le palle di guttaperca, in numero di sei, per averne sempre una in pronto, se un’altra si crepasse, e un’altra o parecchie volassero di qua o di là fuor del confine. Per quelle, poi, vigilavano i ragazzi, sempre vogliosi di correre. Così tutte disposte le cose, in mezzo a due file di spettatori si distribuirono le coppie dei giuocatori e le mute rispettive. Primi a giuocare furono da una parte la contessa Quarneri con Terenzio Spazzòli, dall’altra la signorina Wilson col primo (è poi veramente il primo?) dei famosi satelliti. Anche a me fecero cortesia, invitandomi a giuocare. Mi sono scusato, confessando d’essere ad ogni giuoco una sbercia.
Non è meno sbercia (sia detto con tutto l’ossequio dovuto a tanti pregi fisici e intellettuali) non è meno sbercia di me la contessa Quarneri, che con una sequela di falli conduce in perdizione il suo compagno di giuoco e sè stessa. Pure, aveva contrario uno dei