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non riavevano più la testa d’un baiocco. I miei antenati erano padroni di Ravenna; avevano un palazzo in città ed un castello fuori, chiamato, per l’abbondanza della grazia di Dio, il castello di Polenta. Ora, come vedete, non conservo più che il mestone. Col quale a v’ salut. Macchinista, su il sipario, e risplenda la reggia di Saluzzo agli occhi dell’attonito riguardante.

Ci abbiamo speso un capitale. —

Il colto pubblico sghignazza; l’inclita guarnigione, assente com’è, non può partecipare a tanta allegrezza. Io, sentendo l’accenno all’inlustre personaggio, son rimasto un po’ male. Ma un gomito sinistro sfiora gentilmente il mio gomito destro. Divina fanciulla, se tu l’hai fatto apposta, sii benedetta; e concedimi il bis.

— Chi sarà mai questo personaggio che paga per tutti? — domanda la contessa Quarneri.

— Eh, s’indovina; — risponde la signora Berti. — Terenzio Spazzòli. —

A lui si rivolgono tutti, con cenni di com-