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I. LETTERE SUL DOTTOR BIAGIO SCHIAVO 19

il signor tale — e lo nominai; — e questo sciocco non si è vergognato di leggerlo ad un gentiluomo e farsene bello, e di dire anzi che non si curava che si sapesse anco chi ne fosse l’autore. — Il povero prete, sentendo quel nome, venne di cinquanta colori, e quantunque fosse d’agosto, cominciò a tremare come chi è assalito dalla quartana e batté i denti pel brivido. Ben si faceva forza per nascondere la sua confusione, ma Cimabue, che aveva gli occhi di panno, gliel’avrebbe vista scritta in sul viso. — Costui — ripresi io — costui è im certo ser Cotale, signor dottore mio caro, il quale, già sono alcuni anni, essendo io in Milano, se la voleva prendere con me, perché io aveva costretto il Balestrieri, per onore della sua Raccolta del gatto, a non ci cacciar dentro un tal ladrissimo sonetto che costui aveva mandato. Dico che sin d’allora e’ se la volle prendere con me; poi, per consiglio di quell’accademico di Belvedere già menzionato, pose le pive in sacco e non fece altro. E mi ricordo che mentre ancor bolliva quella faccenda, io in un capitolo ad un mio amico scrissi alcuni pochi terzetti in lode di questo pedante, signor Biagio mio, che lo rappresentano molto al vivo. Senta, senta, signor dottore, que’ terzetti, che le so dir io che son beili e fanno molto a proposito, e son questi:

     Egli mi viene una stizza bestiale,
quando taluno la giornea s’allaccia
e sputa tondo e in zucca non ha sale.
     Conosco un uom che cerca e si procaccia
le brighe, e comperandole a contanti
dell’Aretino va su per la traccia.
     Costui si tien sempre il Petrarca avanti,
e col cucchiaio te lo sgrana in guisa
ch’e’ può in bigoncia montar co’ pedanti.
     Di tòsco e greco porta la divisa;
nella toscana lingua granchi prende,
ed io me ne smascello dalle risa.
     La greca, che a ritagli compra e vende,
la trascrive da Pindaro e da Omero,
e quando poi l’ha scritta non l’intende.