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I. LETTERE SUL DOTTOR BIAGIO SCHIAVO 17

Ma — soggiungeva il Marcellotto — il poveraccio è molto più ignorante, come è più bestia dell’Aretino, il quale almeno aveva in mezzo alla sua ignoranza un po’ di brio, di vivacità, e gli riusci pur talvolta di far qualche cosa di mediocre; ma il nostro critico, che anch’io conosco l’asino agli orecchi, maladetta quella cosa mediocre che gli è mai venuta fatta. — E il fiorentino saltava su tratto tratto anch’egli e andavagli sfibbiando de’ suoi riboboli, che la era cosa da morir dalle risa. Insomma, amico, ne furono dette tante ch’e’ ve ne sarebbe da far un libro.

Ora voi imaginatevi quale piacevol cosa poteva essere il vedere messer Biagio con le labbra cucite, stralunar gli occhi addosso al suo povero scuolarino che, anch’egli imitando il suo venerandissimo maestro, non apriva bocca. Imaginatevi un uomo fll mediocre statura, con una pancia sufficientemente pingue, un mostaccio largo e rotondo come un mellone, due occhiacci larghi, bianchicci, cisposi e foderati di prosciutto; un nasetto a ogni poco increspato sul mezzo; due guancie stracche e cascanti sotto le mandibule delle ganascie; un labbro di sotto alquanto rovesciato in fuora; un capo assai guernito di capegli mezzi neri, mezzi bianchi e mezzi giallognoli, e ritti ritti e distesi distesi, con un totale di ceffo che giurereste preso in prestito da Merdocai rabbino: imaginatevi, dico, una figura con tutte queste belle parti in un uomo di settantadue anni, ed eccovi tale e quale sputato sputatissimo il dottore prete Biagio Schiavo da Este. Imaginatevelo poi in mezzo a cinque o sei giovini tutti collo scilinguagnolo molto ben rotto, che lo proverbiavano e lo strapazzavano e lo trafiggevano senza misericordia sotto nome dell’incognito critico; e poi giudicate se la era commedia veramente da ridere. Oh che increspamenti di naso! oh le strane bocche ch’e’ faceva! Il ritratto del suo Zanni non monta il pregio di far’elo: basta dirvi che ha un visetto stretto e bislungo, quattro capegli rossigni e una fisonomia da stolido e da spav’entato. Dopo di aver riso a crepapelle e di aver fatti stare zitti zitti un paio d’ore il maestro e lo scuoiare, la compagnia si disciolse, ed augurata da me e da qualch’altro molto cuculievolmente la felice notte al molto reverendo Schiavo, ognuno se n’andò pe’ fatti