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DI GIAMBATTISTA CIPRIANI A FRANCESCO BARTOLOZZI 79 mala sorte a leggere que’ be’ motti scritti ed incisi dal biondo Medoro in quegli alberi, in quell’antro e sulle mura del tugurio di quel pastore, s’infiamma di tanta gelosia che ne perde finalmente il senno e corre ignudo per la Spagna e per l’Africa, facendo quelle sue tanto matte prove. Oh, chi non si sente scuotere, infuocare, rapire, portar via dal racconto delle pazzie d’ Orlando, bisogna dire in ogni modo che s’ha l’anima di legno e che non merita d’esser nutrito d’altro che di pappa e di brodo lungo, come persona scomunicata dalle muse! Una sola cosa disapprovo in quel poema: vale a dire quelle stucchevoli genealogie della casa d’Este, che veramente mi fanno cader le braccia colla prolissitá loro; e mi viene poi anco la maggiore stizza che si possa, quando leggo quelli sporchi episodi della Fiammetta, della cagnolina e della coppa matrimoniale, che, allungando inutilmente la favola e rompendone anzi bruttamente il corso, vengono a renderla in parte disgustosa ad ogni costumata persona. Oh, se un qualche valentuomo si mettesse all’impresa di purgare un tal poema d’ogni laidezza, d’ogni oscenitá! Cosi rifatto, l’Italia s’avrebbe un pezzo di poesia da sgradarne tutto il resto del mondo antico e moderno: un pezzo di poesia che non si potrebbe la meglio per affinare la mente e per allargare il cervello a’ nostri eleganti giovani ed alle nostre vezzosissime fanciulle! Anche il Morgante pecca assai in fatto di buon costume, e anche questo si vorrebbe castrarlo qui e qua. Se anco questo si rifacesse, che bel libro per distaccare la malinconia dal cuore d’ogni leggitore! Si posson elleno cose piú liete di quelle corbellature al vecchio Carlo, di quelle mariuolerie di Ganellone, di quelle braverie d’Antea, di quelle ghiottonerie di Margutte, senza contare quelle sode battagliate che quel gigantaccio mena? Oh, io sono propio in cielo quando leggo tutte quelle tante cose, espresse con quella tanta schiettezza e semplicitá fiorentina! Affé, che per riempiere ogni vacuo della vita villereccia non v’ha lettura piú grata dell ’ "Orlando di messer Lodovico e del Morgante di messer Luigi. E chi v’aggiungerá pur quella di quell ’altro Orlando rifatto dal Berni, non potrá andar piú in lá, se si limbiccasse l’anima a pensare.