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Sileno. Dimenticati d’esso, ti dico, e di que’ suoi ragli ch’egli chiama Dialoghi; e dimentica la sua boria e l’ improntezza sua e l’insolenza e la tracotanza e l’altre sue tantissime asinaggini. Quando tossirai meno, quando riposerai piú la notte, quando il cuore ti si restrignerá a dovere nella sistole, quando ti s’allargherá a dovere nella diastole, allora ti permetterò di tornare a quel nostro asino, a tirargli quegli orecchioni, a stregghiarlo con un querciuolo, a pelargli la coda, a rimettergli il basto su quella schenaccia tanto larga e tanto dura; ma di presente fa duopo avere una salute da galantuomo e non pensare se non a quella e tracannare di quel latte ogni mattina in buondato; e venga il mal de’ pondi al frate, che non vale una corda che l’ impicchi. Se vai a Mantova col Greppi, non t’esca delia memoria quella mia cugina che t’ho mentovata l’altr’ieri. Preséntati a lei e, facendole un bello salamelecche, dille che sei un mio schiavo turco. Quel tuo naso alla solimana fará ch’ella ti dia fede e che ti accarezzi come cosa mia e che riceva volentieri que’ due baci che le mando per mezzo tuo, l’uno per uso della sua guancia destra, l’altro della sua guancia sinistra. Statti con Dio, Tanzi buono, e scrivimi prima di montare in calesso, né. mi lasciare senza tue lettere quando sarai in Mantova, la di cui aria spero sará favorevole a’ tuoi poveri polmoni. Vale, e studia dal tuo canto come s’ha a fare perché siamo lungamente amici in questo mondo, e non ti scordare come hai debito solenne di conservare quella vita che il Signor Dio t’ha data in consegna. Vale cent’altre volte, vale, vale.