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LETTERA TREDICESIMA

DEL DOTTORE GlAMMARIA BlCETTI A CARLANTONIO TANZI

[Si curi la tisi e dimentichi quell’asino del frate Branda.]

Quando il Tanzi mi dice che mi vuol bene, io gli rispondo che fa il debito e che saria un Nerone a non me ne volere. Quando il Tanzi mi loda, io gli sogghigno amorosamente in faccia e mi rallegro delle lodi che da lui mi vengono, perché so che se le cava del cuore. Ma quando il Tanzi mi dice che vuole da buon senno e da uomo nimico d’ infingardia fare ogni sforzo per guerirsi un tratto bene di quel suo pericoloso male, io gongolo, io tripudio e ballo e salto per casa come persona invasata dall’allegrezza. Tanzi mio, fa’ d’ esser di parola teco stesso come lo sei con tutti, o tu amareggerai troppi de’ miei giorni, senza contare alcuni di quelli d’altri! Non fare come certuni, che, andando a vivere in un paese di linguaggio diverso dal loro, studiano da principio tanto di quel linguaggio che lor basti per farsi un poco intendere, e poi s’arrestano e non si curano di capirne le sottigliezze e l’ eleganze. Tu hai tanta salute da potermi dire: son vivo; ma questa non è salute che basti a un uom dabbene; e bisogna t’adoperi per averne quarta se ne può e se ne debbe avere: vale a dire per avere una salute ferma, una salute nulla punto dubbiosa, una salute quale se l’hanno que’ che vogliono veramente dire che s’hanno salute, que’ che voglion vantarsi d’essere veramente vivi. Ricordati di quel latte che t’ho si di spesso raccomandato, di quel latte d’asina pasciuta d’erbe fresche. Ricordatene, ti dico; ricordatene, ti ripeto; e dimenticati d’ogn’altra cosa che non abbia a contribuire alla salute del Tanzi. Sopra tutto dimentica il marito dell’asina. — Che vuoi tu dire, Bicetti? — Voglio dire il frate Onofrio Branda, che tanto è asino quanto l’era il corsiero di