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LETTERA DUODECIMA

di Gianfrancesco Arcasio al padre Paolo Pacciaudi

[D’un organaio e d’un campanaio famosi di Mafra, e del palazzo reale di C intra.] Fate conto, reverendo padre, ch’io sia peranco in Mafra, dov’ero quando vi scrissi l’altra mia. Dopo d’avere visitate molte parti di quella gran fabbrica, l’organaio del re mi fece vedere tutti gl’ingegni d’uno de’ sei organi che sono nella chiesa, da lui quasimente finito. Io non m’intendo troppo d’organi, a dir vero, e mi duole d’essere assai piú ignorante che non dovrei sul fatto del loro meccanismo, perché volendo in queste mie lettere a voi e ad altri farla da vero viaggiatore, cioè da filosofo che osserva ogni cosa, bisognerebbe anco m’intendessi d’ogni cosa piú che mediocremente. Oh, quante arti e quante scienze mi porrei a ’mparare, se avessi a ricominciar la vita, senza obbliare quelle tante cose piú trite e piú comuni, le quali sono tanto di frequente ignorate da cert’ uomini, che appunto piú degli altri fanno il quanquam e che pretendono di sapere sopra ognuno! Al qual proposito mi viene in capo una storiella, che vi vo’ raccontare prima di farvi altre parole dell’organaio e de’ suoi organi. Sentitela, ché non è mala. Il famoso poeta Alessandro Pope si stava un giorno passeggiando lungo un campo nelle vicinanze di Londra con due suoi dotti amici, Walsh e Wicherley. Uno d’essi spiccò del campo una spiga e, voltosi agli altri due, domandò loro che spiga era quella. — Di frumento —, rispose uno d’essi. — No, è di segala, — disse l’altro. — Credo v’inganniate tutt’a due, — soggiunse il terzo, — perché la debb’essere una spiga d’avena. — Il fatto sta che nessuno de’ tre clarissimi viri conosceva la spiga. Intanto che le Signorie Loro si stavano in tal guisa scientemente disputando, passò di lá il celebre botanico Miller, il quale con moltissime risa decise che la