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Palazzo vecchio si raccoglieva il Consiglio della Signoria, quando Firenze si governava come repubblica». Alle parole «de’ Buoni uomini» della riga 19 della p. 165, corrisponde a piè di pagina la nota: «Gli Otto, la Balia e i Buoni uomini erano in Firenze denominazioni di magistrati al tempo della repubblica». Lettera ventiduesima. — Alle parole «cose politiche com’esso» della riga 13 della p. 167 aggiunge: «Diamo un’occhiatina a que’ suoi be’ tempi. L’Italia, marchese mio, è in questo secolo piena che ribocca di genterella insipida e buona solo a spasimare dietro alle femmine, a dare del turribile sul muso ai goffi grandi, e a fare de’ versucoli al modo pastorale dell’Arcadia». Alla parola «pensare» della riga 7 della p. 168 aggiunge: «che s’era in certa guisa fatta una moda, adottata da tutti i signori grossi, un numero considerevole de’ quali aveva trovata cosi la via d’essere quello che tutti gli uomini di gran cuore braman d’essere: cioè, come dice quella rima, ’servi di nessuno e padroni di ciascuno’». Lettera trentaduesima. — Alla parola «terraqueo» della riga 31 della p. 192 corrisponde a piè di pagina la nota: «L’aggettivo ’ terraqueo ’ non è nel Vocabolario della Crusca, e non si trova neanco nell’aggiunte fatte dall’editore della ristampa napoletana. O fiorentina o non fiorentina che quella voce si sia, prego gli accademici di porla nella loro prossima edizione. (Nota dell’editore di queste Lettere)». Alla parola «altro» della riga 19 della p. 194 aggiunge: «appunto come facciamo noi, quando diciamo ’ l’ italica favella ’, o ’ la lingua volgare’, o ’ il parlar d’Italia’, o ’ il linguaggio nostro ’, ed altre somiglianti cose». Alla parola «d’esse» della riga 13 della p. 195 aggiunge: «onde avvalertene da valentuomo in molti casi, per crescere o la grazia o l’energia o qualch’ altra qualitá delle tue frasi, senza però introdurre barbaramente e senza discernimento voci e frasi forestiere nella nostra lingua, ma imitando con destrezza e con arte qualche maniera forestiera, che possa rendere qualche tua maniera pellegrina e vivace e balda». Alle righe 34-6 della p. 196 e 1-5 della p. 197 sostituisce: «È vero che nessuno d’essi è forse tant’atto quanto il fiorentino a sviluppare in prosa e in rima concetti alti e sublimi; pure come accennai, anche il fiorentino non può fare intieramente da