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in qualche suo scritto d’un qualche sbaglio di lingua; e si può benissimo che s’abbia pure alcuna volta errato nel giudicare degli scritti altrui, perché neanch’esso è un Eaco, un Radamanto. Lasciando nondimeno il suo giudicare da un lato, per non entrare in un troppo gran pelago, e guardando meramente al suo modo d’adoperare la lingua nel suo scrivere, egli non ha, ch’io siami mai avvisto, in veruno degli scritti suoi nemmanco usata una parola che non sia registrata fra le ottime nel vocabolario nostro, o che non sia per lo meno dedotta con diritta etimologia da qualcuna di quelle, a norma delle regole generali, additate, se non prescritte, nella prefazione che quel vocabolario porta in fronte. Oltre allo scegliere accuratamente ogni sua parola, lo zoppo non usa mai nemmanco una frase che non sia chiara come l’ambra, che non sia corrente correntissima, che non sia sempre modellata sulle idee e che non ne siegua sempre l’ordine naturale. Lo zoppo non affetta lindura, non istudia forbitezza, non si cura di fettucce, di frangiolelle, di cincigli e di fiocchettini tratti dal Decamerone, dal Malmantíle, dalla Tancia o dal Cecco da Varlungo. Lo zoppo fugge ogni sorta di leziosaggini alla fiorentina, di cacherie alla sanese, di storcimenti alla latina, di lepidezze alla lombarda e di lungagne alla napoletana. I fiori della lingua francese soprattutto, e’ li lascia dove la natura li ha posti, sapendo molto bene come degenerino e imbastardischino, quando traspiantati nella nostra lingua, d’un carattere tutto diverso dalla francese; imitando in questo i francesi stessi, che non usano mai il minimo italianismo per la medesima ragione. E non mi si dica che lo zoppo s’ha di frequente certe maniere non adoperate mai da veruno de’ nostri piú pregiati scrittori, perché non si direbb’altro, con un tal dire, se non ch’egli non è un copista servile, non è un pedestre imitatore delle maniere altrui. Avendo de’ pensieri di suo, forza è che s’abbia pure delle maniere di suo da esprimerli; e, quando li esprima con parole buone e significanti, con frasi nette e precise, non occorre cavillare, né citargli il libro del «non si può». Quando gli tocca dire delle cose giá dette da altri o da se medesimo, lo sa per lo piú fare cosi destramente, che