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LETTERA OTTAVA

di Giambattista Negri a Gaetana Ronchi

[In chi ama per davvero, la lontananza non riesce a far scordare l’oggetto amato.] Benedetta siate voi, signora Gaetana, che m’avete tutto riconfortato con quella vostra dolcissima lettera. Brutta cosa è il separarci da que’ che ne son cari, e brutta assai, e poi brutta un’altra volta! Io non so il maggior piacere in questo nostro mondo che quello del telerei gli uni gli altri un gran bene, quando siamo gli uni con gli altri e gli altri con gli uni; e questo piacere io l’aveva quand’era costá con voi e credeva che m’avesse a durare il restante della mia vita. Ma ecco che la disgrazia viene e me lo guasta, allontanandomi da voi propio quando meno me l’aspettava! Oh, disgrazia iniqua, ch’io non abbia piú a starmi con voi e ch’io non v’abbia da voler piú bene se non da lontano! Pure, giacché l’iniqua disgrazia la vuol cosi, ancora mi farei forza a sopportarla con qualche po’ di flemma e di fortitudine! Ma, Gaetana, quanto tempo durerá quel bene che volete a me, ora ch’io sono cosi allontanato da voi? Oh, pensiero crudele! oh, paura che m’ammazza! Eppure non mi vo’ scoraggiare affatto, ma voglio far in guisa di sempre persuadermi che Gaetana mia vorrá tutt’ora conservarmi quel suo affetto, malgrado la natura, la quale ci comanda barbaramente di non amare lungo tempo que’ che ci sono lontani dagli occhi. Voglio anzi fare piú di questo: voglio cioè pensare e fermamente credere che non soltanto voi, ma la vostra mamma anch’essa e tutto il restante della vostra famiglia mi vorranno tutt’ora bene, s’io mi stessi anco mill’anni assente da tutti voi. Amen. Rispetto poi all’impiego che non potetti ottenere, viva Dio che non me ne voglio dare travaglio, riflettendo come accade