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gli avanzi tempo, in fare delle visite agli altri ricchi, onde sapere appuntino del loro benestare. Viene l’ora del pranzo; e bravo il cuoco che sa piú stuzzicare l’appetito a lui ed a’ suoi lusinghieri e parassiti, variando i troppo consimili sapori delle carni, de’ pesci e degli erbami con cento esotiche droghe. Dopo il desinare fa mestiero digerire: la cosa va da sé; e il ricco s’arrovescia a quest’effetto sur un seggiolone bene sprimacciato, e quivi dorme un poco se n’ha voglia, o tattamella d’affari importantissimi co’ prefati lusinghieri e parassiti. Le ciance sciocche aiutano la digestione: precetto socratico. Ma il sole si cala «inver’ Murrocco», a dirvela col Petrarca. — Andiamo a fare un giro al corso. La berlina di Parigi, eh! — S’ha guasta una ruota. — Dunque attacca quella di Milano. — Viene la fitta sera. — Andiamo all’opera. — Vassi all’opera. Col nome di Dio! Dall’opera si passa alla veglia, o, per dirla con un vocabolo piú lungo e piú romano, alla «conversazione», dove si ragiona colla marchesa e colla contessa, e molto in sul sodo, del cantar divino della Bastardella o del ballare miracoloso della Spaccatavole. Termina la veglia e vassi a cena. Dove? Al casino. Poca compagnia, ma scelta. — Monsú, milorde, vuol Ella favorire? — Oh, la bella vita! Bellissima davvero, e massimamente se la nottata si passa colla Zamparini o colla Campioni. Al peggio de’ peggi, non manca una moglie, che, quando sia nostra, s’assomiglia a quella famosa d’Ulisse, come una goccia d’acqua s’assomiglia a un tartufo di Norcia. Ma qui tiriamo presto la cortina, onde il volgo non sappia troppe cose. E per procacciarci un commercio che ti trasformi, o tosto o tardi, un qualche migliaio d’uomini in questa sorte di mostri turchini, vanno a sbaraglio le cittá e si pongono i regni a soqquadro? e si stanno dappertutto strette a consiglio tante gran teste canute e non canute? e si spediscono ambasciadori di qua e corrieri di lá? e si rompono all’ improvvista i piú solenni trattati? e si scordano ad un tratto i ripetuti giuramenti? e s’assoldano i satelliti di Berna o i sicari d’Assiacassello? e si dá principio, senza dire «guárdati», alle ostilitá piú sanguinose, onde i poveri sudditi d’un nimico, che vogliamo