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il parlare cianciar quella familiare che chiamano va molto enfaticamente di rado senza la « la lingua sua francese sufficiente », porzione di propietá e d’eleganza; e nelle persone di conto quel cianciare è sempre tale che non si dilunga mai troppo dallo scrivere piú castigato de’ loro meglio scrittori. Signor Niccolò! Possiamo noi dire senza una bugiaccia maiuscola che questo sia pure il caso nella nostra contrada? che il parlare delle bocche nostre s’abbia che rimescere colla lingua de’ nostri buoni libri? Oimè un’altra volta, anzi mille, anzi centomila! Nella nostra contrada i medesimi signori piú grandi e le dame di nascita piú illustre avviene assai di rado s’abbiano un meglio parlare di quello che apprendettero dalle balie e da’ famigli nella loro prima etá! Pochi signori grandi, pochissime dame d’illustre nascita sanno piú lá del nome d’alcun nostro prosatore, d’alcun nostro poeta, comeché alcuni ed alcune si vadano inghiottendo qualche cucchiaiata di lingua francese rubata ai Voltairi ed ai Rousseau, che rivomitano quindi con ogni piú possibile sollecitudine insieme col loro mal digerito toscano, ogniqualvolta s’acconciano a parlarti squisito ribadito e leccato refocillato. E se questi sono fatti innegabili, ché purtroppo lo sono; e se anzi chi fa sforzo fuor di Firenze di parlar toscano, come ogn’uom dabbene dovrebbe fare; se, dico, viene anzi considerato dai piú un affettato, un tuttesalle, uno sputacuiussi; come diavolo, signor Niccolò, possiamo noi, onestamente e senz’arrossircene, fare i paragoni tra la lingua nostra e qualsivoglia altra di questo mondo? Io sono italiano quanto voi, signor mio; ma non per questo voglio dire le bugie a voi o ad altri per conferire un pregio al nostro paese, che non gli si debbe per nulla. I nostri signori e le nostre dame parlano, i novantanove in cento, molto goffo e molto sciatto, perché appunto i novantanove in cento sono personcine per lo piú ben vestite di panni, ma spoglie d’ogni sapere, né piú né meno che i loro servi, anzi che i loro cavalli. E i nostri letterati parlano male i novantanove in cento anch’essi, e scrivono peggio il doppio, perché i novantanove in cento non sono letterati davvero, ma soltanto