Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/333

sinata e guasta dal perfido picchiare di quelle loro parole, dallo spietato arietare di quelle loro frasi! Oh, che scontri di consonanti! Oh, che accozzamenti di vocali, signor Niccolò! E se veruno di quelli scannati gergacci mal toscaneggiati possa in buona coscienza porsi, verbigrazia, a confronto della lingua usata comunemente dai signori, dalle dame, dai letterati, anzi pure dai valletti, dai trecconi e dalle lavandaie di Parigi, ditelo voi, padri coscritti, che vi passaste, com’io, alcuni anni in quella metropoli! Signor Niccolò, non ridereste voi alla piú sganasciata, s’io vi venissi dire in sul serio che i vari quotidiani toscaneggi de’ principi di Roma, de’ duchi di Napoli, delle venete Eccellenze, degl’ Illustrissimi di Genova, de’ Quaranta di Bologna, e degl’innumerabili marchesi, conti e cavalieri di Milano, di Torino, di Parma, di Modona, eccetera, eccetera, possano, ciascuno di per sé, gareggiare per proprietá, per correntezza, per eleganza e per copia col parlare de’ maggiori donni di Parigi e di Versaglia, anzi pure coi donni minori di Roano, di Lione, di Bordella, di Tolosa, di Marsiglia e dello stesso ancora intedeschito Strasborgo? Non tanto costi, signor Niccolò mio, voi vi fareste beffe di me con molta ferocia; ma mi dareste anche un bel ritaglio del «mentecatto», colla sua bella frangia dell’«animale»! In Parigi ed in Versaglia, anzi pure per tutta quanta la Francia, non v’ha quasimente persona un po’ ben nata, vuoi maschio o vuoi femmina, che non s’abbia letti e riletti i meglio prosatori e i meglio poeti di quella contrada, e ciascuno e ciascuna s’ingegnano di pronunciare quel che dicono alla piú cortigiana foggia che si possa; la qual foggia si va tuttora dal centro del bel parlare tramandando, da una mano all’altra, sino all’estremitá piú remote di quel bellissimo regno. Che piú? Lo stesso popolazzo, in ogni parte anche piú lontana da Parigi, ascolta di spesso delle scene, delle tragedie e delle commedie scritte, dal canto della lingua, colla massima proprietá, puritá e vaghezza. Di qui avviene che il quotidiano conversare di tutte quelle genti s’ è venuto, di passo in passo da quasi due secoli, formando si aggiustato, si facile, si vivo, si vario e si grammaticalmente forbito, che anche ne’ loro piú bassi individui, quando lasciano i loro rispettivi gerghi per