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1 DI FRANCESCO AGENO A NICCOLO DEFRANCHI 333 strascicata si adagio, e con una grazia di pronuncia si mollemente languescente, da disgradarne le medesime gnore mamme e onore nonne degli ebrei livornesi. Ahi, arcadi della malora! Ahi, tristi Cimanti Miceni! Ahi, maladettissimi Nivildi Amarinzi! h). Puossi egli un mucchio di chiappole, come quello delle diaboliche voci e delle diaboliche frasi da voi rispettivamente raggruzzolate e abbicate in quelle vostre scomunicate prose, in quelle vostre poesie scomunicatissime! Oh, principe don Luigi! ( 2 ). E come puoi tu lasciarti bazzicare intorno de’ pinchi di quella fatta, buoni a nulla, per lo vero Giupiterre, se non a vilmente piaggiare, a sfrontatamente adulare chiunque voglia dar loro tre paoli e un pranzo! Principe mio, che non li fai tu anzi scopare e rotolare giu delle tue scale da’ tuoi famigli, quand’egli osano presentarti, o manuscritte o in istampa, quelle loro sconce tattamellate, in cui rimescolano senza punta di cirimonia i tuoi illustri Gonzaghi coi loro insulsi confratelli arcadi, tanto poca è la loro modestia, tanto pochissima la vergogna loro! E vorreste voi dirmi, signor Niccolò, che la lingua oggidí parlata e scritta in Roma da quell’arcadica marmaglia, che comprende pur il fiore, in fatto di lingua, di tutto lo Stato papalino; vorreste voi dirmi sia lingua da stare alla bilancia con alcuna delle odierne anche men colte dell’Europa? Abbandoniamo Roma e andiancene visitare ad una ad una tutte l’altre nostre cittá principali, come a dire Napoli, Vinegia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Parma, eccetera. Oimè, ché in ognuna d’esse anche i signori piú cospicui, anche le dame di piú alto affare, anche gli stessi letterati di prima bussola, ciascuno, ciascuno, ciascuno, quando vuole parlare un po’ meno plebeamente del solito, s’ha, come dissi, il suo rispettivo toscaneggiamento tanto di ca’ del diavolo, che, se t’hai quel gusto di lingua giá accennato, bisogna t’abbi eziandio la tromba d’ Eustachio molto ben costrutta perché la non ti venga scas- (1) Credo questi nomi e cognomi pastorali il signor Ageno se li abbia inventati per celia. (2) Non so di che principe si parli in questa inaspettata apostrofe.