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LETTERA VENTIQUATTRESIMA

di Giuseppe Paglietti a Pietro Francesco Df.giovanni

[Gli ciancia di quelle cose di Londra, delle quali l’occhio, l’orecchio ed anche il naso possono giudicare.] Amico dolcissimo, che volete vi dica di Londra, se non sono due mesi che sono qui, e se non intendo peranco una sillaba di questa lingua quando si parla, scarsamente indovinando il senso di qualche sentenza quando leggo, né m ’essendo possibile peranco di giudicare, se non per mezzo de’ sensi? Giá voi lo sapete che questa è una vastissima cittá, piena di popolo, piena d’arti, piena di scienze, pienissima di ricchezze. Ma guarda ch’io voglia si tosto entrare a parlarvi d’ alcuna di quelle cose delle quali l’uomo giudica col giudizio! Voglio starmi zitto su quelle sintanto che non sono assolutamente mastro della favella britannica. Datemi tempo me la ficchi tutta nella memoria, e allora si ve ne dirò alcune, anzi molte, di quelle ben intese, ben discusse e pesate alla bilancia dell’orafo. Il parlare d’un paese senza possederne previamente la lingua è un fare la zuppa nel paniero, un voler dire degli spropositi a belle carrettate. Se volete contentarvi di quelle cose di Londra delle quali l’occhio, l’orecchio ed anche il naso possono giudicare, di quelle vi ciancerò molto di buona voglia. Londra dunque a misurarla colla vista b), come ho fatto dalla vetta di San Paolo, suo principal tempio, mi pare contenga quattro ed anche cinque volte piú case, che non ne contiene il nostro Milano, a pigliarla tutta insieme: vale a dire, a pigliare tutto l’abitato connesso da’ suoi due ponti sul Tamigi, l’uno chiamato il ponte di Londra, e l’altro il ponte di Westminster. (i) Pare questa lettera sia stata scritta nel 1750, o in quel torno.