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LETTERA VENTITREESIMA

di Niccola Pranchi a Francesco Vacca Berlinghieri

[Come pedantescamente erudite le note del conte Camillo Silvestri alle Satire di Giovenale, e quanto floscia e strascinata e ottusa la traduzione poetica!] Non vi lasciate far paura, signor Francesco, da quel conte Camillo Silvestri, che s’aveva, come voi dite, di molto sapere; ma che, come dico io, non s’ebbe cervello d’ adoperarlo bene. Le note fatte da quel conte alle Satire di Giuvenale non si può affermare non sieno dotte sfondolatamente. Chi però fu mai si ricco di flemma in tutta Italia da leggersele tutte quante? Se la pedanteria si definisce una maggiore ostentazione di letteratura che non occorre, chi piú pedante di lui, che, a proposito d’un unico vocabolo, ti sciupa talvolta le pagine e le pagine, imbrattandole d’una erudizione inopportuna? Leggi quelle note quanto piú attentamente puoi: non v’ ha ragguaglio tra la parte d’esse che s’attacca alla tua memoria e la parte che se ne scappa via, perché non connesse col testo. Fra le tante pecche del signor conte, molto mi dispiace quella del suo registrare in quelle sue note ogni lapida sepolcrale o non sepolcrale, posseduta da lui o da qualch ’altro antiquario amico suo, col solo fine di far palese al mondo ch’egli era possessore d’un bel numero di quelle lapidi e che quegli antiquari suoi amici n’avevano anch’essi di be’ mucchi. Non dico nulla del suo avere con una fatica da facchino ricopiato in quelle stesse note innumerevoli squarci, e non pochi assai lunghi, di quanti libri latini s’aveva nella libreria, dando sempre per supposto che ogni leggitore sia un ignorantone. Avviene, esempligrazia, a Giuvenale di nominare Clodio, personaggio notissimo ad ogni anche piú gramo latinista. E che fa costi il conte Camillo? Ti ridice in una nota