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lario non ve n’ha che venzei o venzette di buoni per un dramma destinato al canto. Andando con questa proporzione di venzei o venzette in dugento attraverso tutta la lingua che si deve considerare come tutta registrata in quel vocabolario; calcolando cioè che d’ogni dugento parole venzei o venzette sole se ne possono adoperare in questa sorte di poesia: ecco che sará palpabilmente provato come il Metastasio non ha fatto e non ha potuto fare uso in que’ suoi componimenti se non d’una settima parte, piuttosto meno che piú, della lingua nostra, cioè di sei in settemila delle nostre quarantaquattromila parole. Questo ristrettissimo caso del suo genere di poesia non è il caso, né 10 può essere, d’alcun altro genere ammesso nella lingua nostra, poiché, quantunque in ogni maniera, o vuoi in ogni stile, sia interdetto l’introdurre certi vocaboli che appartengono ad altre maniere e ad altri stili, e che, per mo’ d’esempio, lo stile petrarchesco non ne ammetta molti adoperati dal Berni e l’ariostesco molti adoperati dal Tasso o dal Lippi, e cosi viceversa; nulladimeno nessuno stile, nessuna maniera di poetare è limitata cosi strettamente nella scelta de’ suoi vocaboli quanto la maniera e lo stile de’ nostri drammi musicali; e per conseguenza in ogni altro stile, in qualsivoglia altra maniera di poesia si possono formare piú combinazioni di parole, cioè si possono formare piú frasi che non se ne possono col picciol numero, comparativamente parlando, che il Metastasio ha dovuto adoperare. Eppure coll’aiuto di soli settemila vocaboli, se son pur tanti, 11 Metastasio ha avuta l’arte di dire delle cose tanto nuove, tanto belle e tanto difficili da dirsi anche da chi scrive in prosa, e da chi è in libertá di far uso d’ogni qualunque parola registrata nel vocabolario nostro, che mi pare, signor principe, di non operare da sciocco quando confesso che l’ingegno di quest’uomo mi riempie di maraviglia, e mi pare di non conchiudere senza una somma rettitudine quando mi riduco a conchiudere che l’abate Pietro Metastasio è veramente degno d’essere il poeta degl’imperadori e delle imperadrici, e lo sarebbe né piú né meno, se gli uni e l’altre s’avesser’anco la signoria di tutto il mondo, non che quella della Germania e degli altri austriaci paesi. Addio, signor don Tita.