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decima, e direi meglio nemmanco la ventesima, di que’ beni co’ quali vengono rimunerati que’ nostri uomini che sieguono la carriera degli studi. Considerate, signor mio, quanto gran numero di biblioteche abbiamo in tante delle cittá nostre! E chi sono quelli che vengono chiamati ad essere bibliotecari? de’ falegnami? de’ pescivendoli? de’ ciabattini? de’ votacessi, che quasi me la faceste dire? Le cattedre però e le biblioteche nostre, ad ognuna di cui va in groppa un salario decente quanto basta, sono tuttavia un nulla quando ci facciamo a ravvisare i tant’ altri premi ripartiti fra i nostri dotti in questo nostro bastardo secolo, in questa nostra Italia transandata. Che vi pare di que’ tanti beni denominati «ecclesiastici»? Chi si busca i tanti canonicati e le prebende e le rettorie e le badie e le arcipreture e le tant’ altre benedizioni di tal fatta, che abbiamo sparse a migliaia, e fors’anco in troppo numero, per tutte parti, a cominciare dal paese degli antichi allobrogi giú sino a quello de’ moderni calabresi? E chi s’intasca poi i tanti vescovadi nostri? E i cardinalati medesimi non vengono forse conferii soventi volte a degli uomini scienziati? Ma, per mettervi sempre piú alle strette e perché mutiate sentenza da volere a non volere, notatene ancor una, signor Tabasso. I nostri principi non sogliono alzare gli uomini che sanno ai posti piú cospicui, alle dignitá piú ragguardevoli, alle cariche piú luminose? L’uno te lo fanno segretario di Stato, l’altro gran cancelliero; l’uno senatore o presidente, l’altro ministro o consiglierò di questo, di quello e di quell’altro dicasterio. Mandano uno per giudice o per podestá in una terra, un altro in un’altra per sindaco o per soprantendente, o almeno almeno per assessore o per coadiutore d’un altro, procacciando in cotali guise un vivere non meno agiato che onorevole a chiunque si consagra agli studi. Eh, signor Tabasso! Invece di lasciarvi portar via dagl’ingiusti lagni e da ridicoli piagnistei fatti da Tizio e da Sempronio per un loro mal vezzo piú che per ragione, volgete l’occhio fermo e sereno intorno intorno, e vedrete che, quando i nostr’ uomini sanno far conoscere al mondo il loro sapere, sono presto condotti a vivere ne’ comodi se non nell’opulenza. Puoffar