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tentai di correre su per quell’erto lato del monte per cui ascese questo bravissimo signore, parendomi pure che, dove un mortale galoppava speditamente, un altro mortale potesse andare almeno trotton trottoni. M’avveddi però, dopo molti e molti vani tentativi, che ci volevano altre gambe, altra lena che non la mia. per vincere queH’altissima vetta; onde mi tornai indreto e mi volsi a cercare se v’era qualch’altra salita meno aspra e meno disagevole da qualch’altra banda, non senza ridermi di que’ Coltellini e di que’ Migliavacchi e di que’ Serimanni e di queiraltra turba di babbioni, che vollero pure mettersi ostinatamente a correr su per quel monte da quello scoscesissimo canto. Perdoni Vostra Eccellenza questo mio vano cicaleccio, e attribuiscalo pure, ché sará benissimo attribuito, alla sfrenata vanitá mia, la quale, inaspettatamente incoraggiata dalla sua tanta bontá, non sa risolversi a cessare dall’ intrattenersi con esso lei e di farsi, per cosi dire, una corpacciata di buone vivande, ora che il banchetto mi sta imbandito dinanzi e senza veruna certezza d’avermi piú a trovare ad una tanta festa. Dacché ricevetti il suo pregiatissimo regalo mi sono abbattuto nell’infinita bellezza del musico Cerbellonino; il quale, sentendo con quanta furia io mi giva millantando in casa Greppi della mia buona sorte, non s’è lasciata fuggire l’opportunitá di pregarmi che ricordassi all’Eccellenza Vostra com’egli s’ha nella gola, e prontissime a gorgogliar fuora, molte migliaia di crome e di semicrome in servigio dell’augustissima sovrana e di tutto il suo fedelissimo popolo di Vienna; protestando poi con cento giuramenti che, quando l’Eccellenza Vostra lo tiri di nuovo a gorgheggiare costá, non s’ammalerá piú, né davvero né per capriccio, come seppe talvolta fare ne’ prischi tempi. Faccia Vostra Eccellenza quel che piú le aggrada e del Cerbellonino e di me, ch’io pongo qui fine alla mia prolissa pappolata, dichiarandole per ultimo e per sempre che le sono schiavo quanto quel suo turco tanto nasuto, tanto panciuto e tanto nerboruto, e che come quello me le inchino coll’ossequio piú vero e piú profondo.