Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/291

LETTERA QUINDICESIMA

di Vittore Vettori a Gianmaria Galeotti

[Si conduole della morte di Carlo Cantoni.]

Non t’abbandonare all’affanno, Galeotti mio. Tu hai perduto un amico, in quel Carlo Cantoni, che il simile non troverai piú, quantunque tu non sia che sul cominciare della vita. Di quella sorte d’uomini il mondo ne ha sempre avuti pochi, avvenendo assai di rado che tanta bontá si congiunga con tanto sapere in un solo individuo; e l’essere, come tu eri, distinto sopra tutti gli altri nell’affetto d’un tant’uomo rende giusto e ragionevolissimo il dolor tuo. Tu dèi nondimeno addolorarti con misura, non tanto perché le lagrime tue noi ti renderanno, quanto perché il corpo tuo non si scomponga di nuovo, ché giá bastano le febbri avute. Credi tu che a quell’anima benedetta possa essere mai grato il vederti cosi oppresso dall’ambascia, s’ella ti sta mirando di lassú, com’io credo fermamente che faccia? Se tu vuoi piacergli, dá lode al Signor Dio del suo averlo tratto a sé e locatolo sur una di quelle sante sedi promesse a chi dabbenamente vive com’egli visse. Povero signor Carlo! Anzi, poveri noi! Anzi, povero io, che passai con esso cinque intieri lustri, nella piú stretta intimezza, non alterata, non diminuita, non guasta mai un momento da veruna diversitá d’opinioni, da gelosia di sorte alcuna! Dio ce l’aveva dato e Dio ce l’ha tolto! Disgiunzione amara, dolorosa, crudele, non v’ha dubbio! Pure di qui a un quarto d’ora ci ricongiungeremo con esso in cielo, ché la piú lunga vita non dura se non un quarto d’ora, tanto passa via veloce. Richiama dunque al cuore tutte le forze tue, Galeotti mio, e confortati colla bellissima speranza che presto lo rivedrai, per istarti poi con esso in una beatitudine incessante e sempiterna. Statti bene e non mancare di tornar a me e agli altri amici quest’altra settimana alla piú lunga. Addio.