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LETTERA QUATTORDICESIMA

di Gioseffo Titreba a Giambattista suo zio

[Scherza su certa ricetta portentosa che ha guarito un amico.]

Andato ieri a pranzo dal nostro signor Greppi, vi trovai inaspettatamente il Cosio, col quale non potetti far a meno di non rallegrarmi del suo essere vivo, dopo d’essermi assicurato, col toccarlo e col palparlo, che lo era veramente e senza la menoma fraude. — Oh, puoffar il mondo! — diss’io a quella vista improvvisa, — non t’avrei io data la benedizione in articulo mortis, s’io fossi stato pievano, l’ultima volta eh’ io ti veddi in Mantova dal plenipotenziario? W. — Pensate, signor zio, che occhi gli debbo aver poi fatti addosso quando veddi che non soltanto si pose a mangiare della minestra e del lesso e de’ piccioncini e delle polpettine, ma che diede pur anco un impetuoso assalto ad un salsiccione di Bologna tanto fatto, e a varie sorte di frutte! E, potenza di Bacco! quanti bicchieri di Chianti, anzi pure di Borgogna, si seppe mandare giú per la gola! In somma delle somme, e’ mangiò e bevette quanto il Greppi ed io, senza verunissimo ribrezzo e propio a modo d’un galantuomo quando non ha piú medico che gliel’ impedisca. E stupefacendomi d’una salute si gagliardamente ricuperata, e domandandogli qual santo aveva operato un miracolo tanto miracolosamente miracoloso, e’ mi rispose con un vocione da toro che il santo si chiamava san Giambattista Titreba, ispettore e conservatore delle cacce imperiali nel ducato o provincia di Mantova, e segretario in diebus illis della serenissima duchessa Lionora di Guastalla, di Bozolo e di Sabioneta. Che lungo titolo per un santo! E’ basterebbe (i) Cioè dal conte di Firmiano, plenipotenziario nella Lombardia austriaca. G. Baretti, Scelta di lettere familiari. 19