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LETTERA OTTAVA

DEL CAVALIERE ALESSANDRO ZAPPA

a Francesco Domenico Michelotti [Non vuol piú scrivergli se non delle cose semplici, delle cose alla buona, que che viene viene.] Fra gli obblighi innumerevoli, oltre alla naturale simpatia, che mi legano al mio Michelotti con una catena d’oro massiccio, non è il minore quello d’avermi fatto imparare a scrivere toscanamente e con ogni possibile correttezza. Non vo’ giá dire con queste parole che tu m’abbia fatto il pedante addosso e costrettomi colla ferula in pugno a ficcarmi nella testa i precetti del Buonmattei (0, da volere a non volere. Voglio solamente dire che, s’io scrivo qualche poco bene, lo devo in molta parte a quella bell’usanza che tu hai da un pezzo avuta, subito ricevuta una mia lettera, o buona o mala che si fosse, di correre, come se t’avessi quattro gambe, a farne la lettura in quel crocchio che si raguna ogni sera lá da quel nostro signor marchese a cianciare di versi, di prosa e non di rado di guerra, di politica e d’altre cose. Quante volte, Michelotti, non m’hai tu fatto il bel giuoco di starti vociferando lá tra quelli scioperatacci ogni mia tiritera? Gli è lá in quel crocchio che tu hai fatto notare troppe volte alle Signorie Loro ogni mia parola un po’ po’ cruscheggiante, ogni mia frase un po’ po’ stillata, ogni mio pensiero un po’ po’ limbiccato. Ch’io dicessi bene o ch’io dicessi male, tu hai troppo spesso violentati tutti quegli amici a starsi attenti alle mie sciamannate abborracciature, come le dame si stanno il carnovale in teatro attentissime a (i) Benedetto Buonmattei fiorentino ha scritto una Grammatica toscana, la migliore sin adesso che l’Italia s’abbia.