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DI PIERPAOLO CELESIA A GIOSEFFO BENCIVENNI PELLI 245 guidardone il poveruomo s’ebbe! E cosi voi date nelle rabbie meco e mi malmenate, senza riflettere che, se foste una bella giovanetta come siete un uomo attempatotto, io vi porrei addosso piú amore che non ne pose il greco Palmerino alla tedesca Polinarda. Si, signori: il signor Pelli mi fa una bravataccia orrenda, senza punto considerare che nel suddetto caso, anzi in ogni caso, io battaglierei per esso con un Endriago qualsivoglia. Oh, biscia senz’amore, serpente senza gratitudine, aspide senza coscienza! E che diremo del vostro aver aizzata madama la nipote a darmi tante beccate quante me n’ha date in quella sua epistoletta? Ben è vero che costi non ho a sgomentarmi di molto, perché a quel modo sogliono sovente fare anche i passeri e i fringuelli a coloro che li accarezzano e vezzeggiano di soverchio. Ma faccia la signora Giacinta quanto peggio può, ch’io non bado a beccate d’uccellini e sempre tengo l’occhio fitto in que’ tanti pensierucci che si vanno avvolgendo per quegl’infiniti pertugi del di lei cervello. Oh, quanti ne veggo e come distinti! Gli è impossibile un formicaio piú innumerevole! Per vita mia, che ne vo’ far palese una buona mano a voi, al marito suo, anzi pure a tutta Firenze, in caso la mi stuzzichi piú oltre. Oh, se la mi stuzzica! Ma forse che giá non l’ha fatto? Si, l’ha fatto: ond’ è ch’io avvampo giá tutto d’una somma collera! Giá sono rosso in viso come la cresta d’un gallo che combatte con un altro gallo! Vendetta, vendetta! Faccia di rompere il suggello all’acchiusa, se le dá il cuore, e la legga se vuol vedere come io so dar coppe a chi mi dá spade! Zara a chi tocca! T’ insegnerò ben io, perfida Giacinta, a destare il can che dorme! Strapazzarmi, vilipendermi, perché ho il dono d’indovinare ogni cosa che pensi? E che ci poss’io, se la natura m’ha voluto far nascere indovino? Temperiamo una buona penna, cospetto di Bacco, e sfoghiamo il rovello senza perderci piú in parole. Mò mi ci metto.